Il nemico numero uno di troppi mostri immersi nella pornografia
Don Fortunato Di Noto: no a silenzio e indifferenza per far emergere un colossale affare di stampo criminale
Che cosa avrebbe potuto fare un prete siciliano da solo contro un gigante, così imponente, come la pedofilia? Don Fortunato Di Noto non si è lasciato intimorire. Anzi: come Davide contro Golia, ha iniziato la sua lotta. Decenni fa, da pioniere, armato del coraggio della fede. Senza stancarsi mai di scagliare con forza le sue pietruzze in difesa dei più deboli e sottomessi del mondo. Perché se le moderne tecnologie hanno contribuito ad accorciare le distanze, hanno permesso al materiale pedopornografico di proliferare fino ad andare a insinuarsi nelle pieghe più profonde della rete. Ed è proprio lì che il presbitero nato ad Avola (Siracusa) nel 1963 consuma quotidianamente le sue battaglie che sono fatte di ricerche in collaborazione con la Polizia Postale e di denunce, di formazione e di sensibilizzazione sul fenomeno degli abusi sessuali sui minori, di sostegno alle vittime. Dalle periferie digitali alla realtà grazie alle numerose attività che porta avanti dal 1989 con l’associazione cattolica Meter con sede ad Avola di cui è stato il fondatore. Ed è tuttora, con la schiettezza di uomo del Sud, l’instancabile presidente.
«Sono felice di servire da trent’anni il Signore. Ancora oggi mi chiedo per quale ragione ho deciso di occuparmi di un settore così delicato... Potevo non farlo, ma è accaduto», ha esordito il parroco della Madonna del Carmine di Avola intervenuto nei giorni scorsi all’auditorium del Centro don Calabria nell’ambito degli incontri su “La libertà viziata” promossi dall’Area disabilità dell’istituto calabriano con i patrocini di Comune e Diocesi di Verona. Negli anni Novanta, quando era ancora un giovane diacono che muoveva i primi passi del suo cammino nella Chiesa, l’attenzione nei confronti delle marginalità dimenticate ha incrociato il nascere delle moderne tecnologie. Avere la possibilità di navigare nelle acque profonde e poco limpide del web in cui l’inumanità delle persone ha raggiunto livelli indicibili, ha sottolineato, «è stato un segno di Dio. Ho iniziato a vedere, a scoprire situazioni che dal punto di vista umano non riuscivo a capire. Quel mondo di abusi mi ha cambiato la vita e dovevo fare qualcosa, dare una risposta».
La legislazione era carente in materia? Assieme ad altri, nel 1998, è stato promotore della legge 269, la prima misura adottata in Italia per il contrasto della pedopornografia; con la sua onlus, nel 2006, ha contribuito a formulare la legge 38 (contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo di internet) e poi la norma di ratifica della Convenzione di Lanzarote, sempre finalizzando la sua opera alla protezione delle vite più indifese. «Dovevo dare voce a un problema. Per sconfiggere Golia è stato chiamato Davide perché era un ragazzo che aveva fede in Dio, scriveva sant’Agostino», ha fatto sintesi, andando alle origini della fondazione di Meter, che oggi ha un osservatorio sul fenomeno e un centro di ascolto per dare accoglienza alle vittime oltre a un programma di iniziative mirate. «È stata la mia prima intuizione che ho avuto per poter agire contro l’enormità degli abusi che avevo visto. Ricordo che le prime denunce le ho inviate con il fax: all’epoca le procure non erano dotate di computer», ha ricordato il sacerdote siciliano, a sua volta indagato e messo sotto scorta dopo aver ricevuto minacce per aver avuto la forza di etichettare il fenomeno pedopornografico col suo nome. Quello di crimine.
Ma quale comunità è quella in cui attecchisce la pornografia? «Una società pedofobica che ha paura dei bambini, che nega l’infanzia ai più piccoli desiderando che si comportino da adulti. Il problema è soprattutto culturale: sempre più bimbi sono adultizzati, tra adulti che sono invece infantizzati», ha denunciato don Fortunato Di Noto. E la sua dichiarazione è tuonata ancora più potente quando ha snocciolato alcuni numeri: «Parliamo di 18 milioni di minori abusati a livello mondiale. È una situazione che ci sta sfuggendo di mano e che impone una riflessione profonda».
Nel 77% dei casi sono colpite le bambine; la maggior parte degli abusi si consuma in ambito familiare, in particolare tra convivenze non stabili. «Viviamo in una società di orfani con genitori vivi, di povertà affettiva. Una società nella quale non riusciamo a comunicare e chi non comunica, non ha relazioni», ha fatto notare. E purtroppo è un terreno fertile, quello dell’individualismo, per i pedofili. «Persone comuni e insospettabili, ma vicine al bambino tanto da conquistarne la fiducia. Sono grandi manipolatori: prima diventano amici e sfruttano la naturale curiosità nei confronti della sessualità, quindi cominciano a proporla nella modalità del gioco. Consumato l’abuso, spingono a non dire nulla. Se le violenze sono in aumento, dall’altra parte le vittime devono essere supportate a imparare a convivere con ferite che non si possono cancellare». Nei meandri di internet, ha proseguito, il problema si ingrandisce ulteriormente: ci sono interessi economici enormi, l’anonimato è garantito, le forme di dipendenza si amplificano, esistono siti oltre a vere e proprie community nelle quali scambiare fotografie e video di ogni genere. Compresi consigli su come adescare le vittime. Più facile nella dimensione virtuale che nella vita reale.
Pedofilia e pedopornografia rappresentano un business che muove interessi enormi. «Ne siamo responsabili tutti: laici, religiosi, colossi del web – ha chiosato il sacerdote siciliano, lasciando intendere di non voler smettere i panni da Davide –. Cosa fare allora? Alleanze educative, informazione, prevenzione. Il bisogno di comunità è l’antidoto assieme all’ascolto. In questi anni si è fatto molto, ma si può fare di più contro queste forme di violenza, scendendo in campo per cambiare le cose, come ha esortato il Papa. Il silenzio e l’indifferenza uccidono le già deboli vite dei bambini». Come rimanere insensibili?
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