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“Il giorno più bello della vita? Domani”

di MARTA BICEGO

Un libro ricorda una storia di vita e d’amore tra due coniugi ora non più tra di noi

“Il giorno più bello della vita? Domani”

di MARTA BICEGO

Il giorno più bello della vita sarà domani. Oltre i momenti belli o quelli difficili che mettono alla prova; lungo le strade che si percorrono, talvolta in salita; nonostante la malattia e suoi esiti; grazie alla fede cristiana. 

A ricordare come la vita sia, malgrado tutto, un’avventura da vivere, sono le pagine del libro Il giorno più bello della vita: domani, che Giorgio Nordera ha voluto lasciare in dono come una sorta di testamento dal quale attingere forza, gratitudine, fiducia, amore, umanità, dedizione incondizionata. 

Un anno fa, il vescovo emerito mons. Giuseppe Zenti e il vescovo mons. Domenico Pompili celebravano il funerale di Nordera, morto prematuramente nel 2023, a 70 anni. Ma il “domani” verso il quale egli ci esorta a continuare a guardare pure in sua assenza ha un orizzonte nitido, luminoso di speranza, eterno. 

«Mi diceva che bisogna essere positivi, guardare avanti, avere fiducia», racconta il fratello Marco Nordera, stringendo tra le mani il volume. Sprona a leggerlo, e a rileggerlo ancora, per coglierne messaggi sempre diversi e comunque attuali. Ed è proprio quello che voleva l’autore, che l’ha scritto dopo la scomparsa dell’amata moglie Maria Cristina Bonetti. Guidato dall’affetto verso colei che ha tenuto per mano per oltre 46 anni. Fino appunto alla morte, avvenuta a giugno 2021. 

Però la pubblicazione (Gianni Bussinelli editore), la cui presentazione porta la firma di mons. Zenti, è tanto altro di più: «Racconta del matrimonio e della vita di coppia. Dei viaggi, tra i quali tanti a Lourdes. Dell’affetto verso Giazza, il paese delle origini della sua famiglia o di Mezzane di Sotto, luogo dell’infanzia. Della fiducia verso la Madonna. Della malattia che ha colpito prima la moglie e poi lui», riassume il fratello, accennando al familiare che aveva studiato Medicina ed Economia e commercio, diventando titolare di un’agenzia di assicurazioni. 

«Superiamo anche questo, mi ripeteva alla notizia del peggioramento della malattia, di una nuova metastasi». Anzi. Senza lasciarsi vincere dallo scoraggiamento, dalla negatività o dal pessimismo, Giorgio scriveva: “Amo la vita, rispetto la morte che non mi impaurisce, conscio che, in quel transito, Dio Padre infinitamente misericordioso non abbandonerà i suoi figli, perché so che la Vergine Maria mi accompagnerà con dolcezza per mano: si chiama fede”. 

Fede che aiuta a far intravedere la luce quando sembra di essere sprofondati in un “buco nero”. Luce “che brilla sempre, anche durante quello che tu percepisci come buio. La luce è l’Universo di Dio che, sulla terra, si manifesta nella vita, nella fede, nell’amore. La mia luce è, e sarà, la mia Cristina e io ne ero, ne sono, ne sarò, lo specchio di un sentimento coinvolgente, totale, unico”.

Come coppia, Giorgio e Cristina hanno lasciato un segno. Per questo, forse, Giorgio non aveva rimpianti: “Molti, alla morte di un loro caro, vivono il rimpianto di cose mai dette, di carezze mai date, di sentimenti mai manifestati, convinti che la vita avrebbe riservato tutto il tempo necessario per farlo; io ho avuto il dono di un amore che ci ha fatto condividere tutto”. Non ha ceduto alla rassegnazione nemmeno quando le sue condizioni di salute si sono aggravate, nonostante gli anni di lotta contro il cancro segnati dalle ripetute terapie e dalle interminabili sedute di chemioterapia. 

“La Divina Provvidenza ha dei disegni su di me che sto scoprendo giorno per giorno, compiuti i quali penso/credo/spero, potrò raggiungere Cristina”. Pur nel dolore, sono pensieri di speranza quelli che Giorgio ci ha consegnato: “Non pensare mai di aver sprecato la vita: non potrai mai sapere le vite che hai toccato, le porte che hai aperto, il conforto che hai donato; una parola, un sorriso possono aver cambiato per sempre una vita. Il bene offerto non sarà mai perduto”. Vale in particolare ai giorni nostri, continuava, in una società ipertecnologica: una concretezza che si traduce in attenzione nei confronti del prossimo, ascolto e vicinanza. “Quante volte – osservava Giorgio – ho trasmesso la voglia di combattere, perché, fino all’ultimo battito, nulla è impossibile”. 

Citava quindi il Vangelo, “Tu non sai né il giorno, né l’ora”, tra le riflessioni finali del libro che è stato anche consegnato nelle mani di papa Francesco durante la sua visita a Verona. “Il mio giorno? La mia ora? Nelle mani di Dio”. Perché lasciare la terra dei vivi non significa scomparire. “Questo piccolo diario della vita di Cristina e mia, storia di un ‘prima’ e di un ‘poi’, con la speranza, anzi, la certezza che, anche quando il cielo è cupo, pregno di pensieri, preoccupazioni, sofferenze, dolore, sopra le nuvole è sempre sereno, è sempre azzurro. È il dono della speranza, della fiducia, della scoperta, della fede che il giorno più bello della vita sarà domani”.

Nella foto sopra Giorgio Nordera con la moglie Maria Cristina Bonetti.

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