Chiese riaperte ma pochi fedeli: «Sono sicure, torniamo uniti»
Calo del 40%, c’è ancora paura. Mons. Campostrini (Vicario generale della diocesi di Verona): nuovi cammini di fede
Dopo il periodo di chiusura delle chiese a causa del contagio globale, da un paio di mesi sono riprese le celebrazioni comunitarie con la presenza del popolo. Ma anche in chiesa si respira un’aria diversa: sarà perché bisogna tenere davanti al naso per tutta la celebrazione una fastidiosa mascherina, sarà perché bisogna stare distanziati anche là dove si era abituati a tenersi tutti per mano, sarà perché all’appuntamento mancano tanti volti di amici e conoscenti...
Ne parliamo con mons. Roberto Campostrini (nella foto), Vicario generale della diocesi di san Zeno.
– Mons. Campostrini, dal vostro osservatorio diocesano sapete quantificare il calo di presenze alla Messa domenicale in quest’ultimo periodo?
«I dati in nostro possesso confermano in modo inequivocabile che la ripresa, non solo per quanto riguarda le celebrazioni liturgiche, ma più in generale per l’intera organizzazione pastorale delle comunità, è molto lenta e problematica. I numeri parlano di un 40% di fedeli in meno rispetto alla frequenza media alle Messe festive precedenti alla chiusura».
– Chi sono quelli che mancano all’appello? E per quali motivi?
«Le famiglie con bambini e gli anziani principalmente, che costituiscono la maggioranza dei fedeli che abitualmente frequentano le celebrazioni. Credo che la motivazione principale sia da ricercare nel sentimento di paura scatenato dal Covid-19. Per una persona anziana, che magari vive da sola, era già un grosso impegno quello di uscire di casa in tempi normali; adesso, dopo tutto quello che abbiamo visto in televisione, non è facile affrontare questa nuova fase segnata da mille incertezze e così molti di loro preferiscono rimanere a casa. Queste persone vanno comprese nei loro stati d’animo ed aiutate a superare lo shock che hanno subito, con pazienza e amorevolezza. Stesso discorso vale per le famiglie che, di fronte al tema della sicurezza dei propri figli, preferiscono la maggiore cautela».
– È un dato allarmante, noi ci saremmo aspettati un ritorno in massa di fedeli, perché resi più attenti ai valori spirituali e religiosi dall’esperienza dell’isolamento forzato. E invece...
«I dati vanno letti in maniera pacata, senza allarmismi, cercando di capire quali sono i margini di azione e le opportunità che ci sono per una nuova ripresa. Abbiamo lanciato come diocesi una campagna a tappeto, che ha coinvolto anche queste pagine, intitolata “Andrà tutto nuovo” perché siamo convinti che non siamo alla fine, ma bensì all’inizio. È terminata la fase di consultazione in cui sono stati raccolti i contributi e le riflessioni condivise provenienti dalle comunità e dai fedeli; ora inizia la fase di discernimento territoriale e di sperimentazione per elaborare nuovi percorsi di accompagnamento dei cammini di fede che tengano insieme i valori del legame comunitario e la dimensione familiare della vita cristiana».
– Per fortuna la Chiesa non è come il calcio dove, quando non arrivano subito i risultati, in genere, si esonera l’allenatore... Perciò non c’è l’ansia da prestazione e ci si prenderà tutto il tempo necessario per capire e per decidere quali strade esplorare. Tuttavia bisogna cominciare in qualche modo...
«Di tutto c’è bisogno tranne che di scelte affrettate o avventurose in questo momento. Come dicevo prima, siamo all’inizio. È naturale che adesso ci siano più domande che certezze, ma una lezione l’abbiamo imparata: l’umiltà è essenziale per lasciarci ammaestrare anche dal dolore provocato da questa pandemia e la sobrietà imposta dagli eventi ci ha già dato qualche preziosa indicazione per costruire dinamiche di prossimità più curate e attente alle singole persone».
– Come si spiega la strana incoerenza che si nota tra il comportamento delle persone quando entrano in una chiesa dove le procedure sembrano quelle previste per una sala operatoria, e quello di coloro che si ritrovano in centro per la serata con gli amici? Questi ultimi non sembrano né intimoriti, né presi da tanti scrupoli per il pericolo di un ritorno dei contagi.
«Me lo spiego facendo notare che non sono le stesse persone. Qui si apre un capitolo non facile: quello riguardante i giovani. Non è solo la frequenza diminuita alle Messe che ci preoccupa, ma anche il fatto che sono saltati tanti appuntamenti estivi dove i ragazzi erano i protagonisti delle nostre parrocchie. Tutti noi sappiamo quanto sono importanti i campi estivi e l’impegno durante i Grest per tenere uniti i gruppi giovanili: ora dovremo escogitare altre forme per farli sentire ancora importanti e per non disperdere il futuro delle nostre comunità. Non sarà un’impresa facile, né breve. Per quanto riguarda le regole di sicurezza all’interno degli ambienti parrocchiali, devo riconoscere che i parroci insieme a tanti laici hanno svolto un lavoro molto bello e con grande responsabilità hanno fatto sì che le parrocchie ad oggi sono da considerare i luoghi più sicuri. Continueremo ad essere meticolosi in questo ambito e, finché la stagione lo permetterà, favoriremo le celebrazioni all’aperto che ci aiutano anche a riscoprire la bellezza e la preziosità del creato». – Il Covid-19 ha rimescolato tutte le carte sul tavolo: mi pare che non si debbano ricercare solo nuove modalità pastorali e strumenti idonei, ma che vadano rivisti anche i contenuti...
«Questa è la vera sfida del tempo presente. Non possiamo cadere nella trappola dell’autoreferenzialità in cui, a mo’ di un Marzullo, ci facciamo la domanda e ci diamo anche la risposta; ma ci apriamo alle nuove domande, quelle che non ti aspetti e che ti lasciano per un istante senza parole, ma poi la risposta la cerchiamo insieme riprendendo in mano il Vangelo di Gesù. Quello non cambia mai, tutto il resto sì».
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