Adozioni internazionali dentro il pantano Covid
di REDAZIONE
Adottare un figlio straniero: pandemia e Stato non aiutano Sostanziale stallo: il Covid e pochi sostegni pubblici complicano la situazione
di REDAZIONE
Da circa 4mila a poche centinaia: bastano questi numeri per comprendere lo tsunami che si è abbattutto sulle adozioni internazionali. La situazione pandemica, l’assenza o la rarefazione dei voli aerei, la chiusura di frontiere e altre difficoltà hanno creato un sacco di problemi e di ansie per quelle coppie italiane che stanno cercando un figlio da adottare all’estero. In più, certi Paesi hanno drasticamente cambiato la loro politica al riguardo, chiudendo le porte. A Verona ci sono realtà che da anni si occupano di dare una mano alle coppie di fronte alla non semplice, lunga e assai costosa procedura che li porterà – se tutto va bene – all’adozione. Lamentano pure la mancanza di sostegni da parte dello Stato, che certo aiuterebbero a realizzare quel sogno che ci hanno raccontato due neo-genitori di Illasi con la loro bellissima Esmeralda: pietra preziosa che hanno portato dalla Colombia e che ha arricchito la loro esistenza.
Adottare un figlio straniero: pandemia e Stato non aiutano
Sostanziale stallo: il Covid e pochi sostegni pubblici complicano la situazione
Negli aerei mai decollati in questo anno monopolizzato dalla pandemia, molti posti dovevano essere riservati a futuri genitori. Mamme e papà, con un bagaglio già straripante di attese, disposti a prendere uno o più voli per raggiungere Paesi anche lontanissimi pur di abbracciare i figli tanto desiderati. E diventare, con loro, famiglia. Fino a quando l’emergenza sanitaria ha inevitabilmente rallentato il circuito delle adozioni internazionali.
Non ha messo però il freno alle speranze delle coppie aspiranti adottive (a fine dicembre 2.900 in tutta Italia) né degli enti autorizzati (40 in totale quelli italiani, dieci dei quali riuniti nella rete Eanet for Adoption) che se ne occupano.
«Il 2020 è stato un anno traumatico», conferma Angelo Vernillo (nella foto), portavoce della rete di cui fa parte la veronese Nadia Onlus. «L’adozione internazionale ha come presupposto il fatto che le coppie si debbano spostare all’estero; con la pandemia è stato impossibile. Con grande difficoltà e solo dove si era arrivati alla fase conclusiva, si è riusciti a portare a termine gli iter grazie alla sinergia tra enti autorizzati, Commissione per le adozioni e ministero degli Esteri», spiega.
Guardando al futuro, le prospettive non sono rosee. Alle spalle c’è un anno di operatività: «Siamo sempre rimasti aperti e, nel rispetto delle norme anti-contagio, abbiamo supportato le famiglie sia in termini di accompagnamento e formazione che di aiuto psicologico attivato a distanza. Abbiamo garantito il lavoro burocratico e amministrativo di controllo e l’invio all’estero dei documenti necessari. Non ci siamo mai fermati, per portare avanti più possibile le adozioni le cui procedure volgevano al termine e seguire quelle che stavano iniziando», sottolinea.
A preoccupare è il futuro, nemmeno troppo remoto, visto che allo stato attuale non sono stati erogati sostegni mirati né sono state fornite risorse sufficienti. Quindi, quando i fondi dei singoli enti andranno a esaurirsi, la macchina si fermerà.
Il decreto Bonetti poteva essere una buona notizia: 2.350.000 euro stanziati ad agosto per i circa 50 enti autorizzati operativi all’epoca dovevano ristorare le spese correnti per il periodo di marzo-maggio 2020. Con la proroga dello stato d’emergenza si è arrivati al 31 gennaio di quest’anno: l’importo complessivo è rimasto lo stesso, sebbene l’arco temporale sia triplicato.
«Per com’è stato pensato, costruito e burocraticamente realizzato, il decreto si è rivelato un flop – sostiene Vernillo –. Allo stato attuale, il 70% delle risorse è a disposizione perché nessuno ha potuto materialmente chiederle. Non perché non ce ne fosse necessità, anzi. Su questo auspichiamo venga fatta una riflessione per un nuovo intervento del governo di sostegno specifico per adozioni internazionali ed enti autorizzati, con pari dignità rispetto alle altre realtà imprenditoriali o del Terzo settore. Non chiediamo privilegi, ma pari diritti e dignità in considerazione del compito pubblico che, chi opera nel campo delle adozioni internazionali, svolge». A medio-lungo termine, conclude, «dovremo ripensare l’intero sistema e fare una riflessone importante in considerazione del fatto di poter lavorare in convenzione o su delega della Commissione, prevedendo la gratuità dell’adozione internazionale».
Marta Bicego
«La nostra piccola pietra preziosa che ha dato più luce alla famiglia»
Una coppia di Illasi e la complessa adozione della colombiana Esmeralda
Esmeralda ha portato la luce nella vita di Serena Rama e Mauro Mantovan. Per regalarle una famiglia, i due neo-genitori hanno percorso migliaia di chilometri, raggiungendola in Colombia. In tempo di pandemia, dettaglio non indifferente: hanno fatto fronte ai blocchi prima e ai ritardi delle partenze aeree poi; hanno oltrepassato l’oceano e le difficoltà burocratiche per avere, ad esempio, un tampone in tempi brevi prima di mettersi in viaggio; hanno superato le barriere linguistiche.
«Siamo felici», ripete la coppia, che vive a Illasi. Felicità rimarcata nelle voci che si alternano nel racconto dei 39 giorni trascorsi in terra colombiana. Dopo dodici anni di matrimonio, quattro anni fa hanno deciso d’intraprendere la strada dell’adozione: superato l’iter necessario per ottenere l’idoneità da futuri genitori, si sono affidati a Nadia Onlus.
«Ci siamo resi disponibili all’adozione sia nazionale che internazionale, per avere maggiori possibilità e tempistiche più certe», esordisce Mauro, ripensando ai momenti di entusiasmo e sconforto che si sono alternati nel periodo dell’attesa. La segnalazione di una bimba adottabile è giunta da lontano, dopo pochi mesi dal conferimento dell’incarico all’ente prescelto: «Siamo stati fortunati, è una cosa che non capita spesso», prosegue. Un anno dopo, a luglio del 2020, c’è stata la conferma definitiva: avrebbero allargato la famiglia.
«In una situazione normale, avremmo potuto partire immediatamente. Invece, a causa dell’epidemia da Covid-19, i voli sono stati stoppati. A ottobre si è aperto uno spiraglio, ma solo per un paio di coppie, così siamo stati costretti a rimandare la partenza al 1° dicembre. Con l’incertezza, fino all’ultimo istante, di riuscire a imbarcarci», ricorda Serena.
L’iniziale cammino in salita, è divenuto più semplice nel Paese di destinazione: a Bogotà la coppia è stata accolta con il sorriso e senza pregiudizi dalla gente del posto, che anzi ha mostrato gratitudine per il gesto che stavano compiendo. Ha sempre ricevuto il supporto, a livello organizzativo e psicologico, dai referenti locali oltre che da Nadia Onlus. Fino all’incontro con Esmeralda, che avevano avuto modo di conoscere attraverso un album di fotografie, dei filmati e qualche videochiamata che ha contribuito a creare un primo legame tra Verona e la remota valle del Cauca, dov’è nata la bambina.
Abbracciarsi di persona è stato, però, indimenticabile: «Una gioia grandissima», rivelano. Come emozionante è stato vedere quel frugoletto di sei anni dai capelli nerissimi che, di nascosto, sbirciava da una vetrata i genitori che tanto aveva atteso nelle giornate trascorse nella casa famiglia che la ospitava.
«Appena aperta la porta che ci separava, ci è corsa incontro per abbracciarci, chiamandoci da subito mamma e papà. Gli assistenti sociali hanno detto che aveva pregato tanto per trovare una famiglia e che non riuscivano più a contenere il suo entusiasmo una volta che aveva scoperto di averla finalmente trovata. Da quel momento è entrata nella nostra vita, come un terremoto», precisa la madre.
Nonostante l’ostacolo della lingua, non parlando spagnolo, Serena e Mauro hanno trovato il modo di comunicare tra loro. Ora la piccola frequenta la scuola materna, interagisce con gli altri bambini e questo le permetterà di imparare in fretta l’italiano e di ambientarsi. «Adesso si sta riprendendo tutto l’affetto e le coccole che non ha mai ricevuto», conclude il padre. Perché nonostante tutto c’è un linguaggio universale, quello dell’amore, che farà il resto.
Marta Bicego
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