In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata. Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
A partire da questa domenica che segna l’inizio del nuovo anno liturgico A i commenti al Vangelo sono curati da don Luca Albertini, rettore del Seminario Vescovile, che ringraziamo per la sua disponibilità.
La distrazione («Non si accorsero di nulla finché venne il diluvio») e l’invito a vegliare («Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà») sono due atteggiamenti che emergono dal Vangelo di questa prima domenica di Avvento. Essi pongono in evidenza la necessità di prendere una posizione davanti al tempo prezioso che iniziamo: essere distratti o vegliare? Continuare a dormire o svegliarsi? Come dice san Paolo nella seconda lettura: “Fratelli, questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti. La notte è avanzata, il giorno è vicino” (Rm 13,11-14).
Al tempo di Noè, dice Gesù, non si accorsero di nulla; erano come addormentati, distratti, incapaci di vedere dentro la realtà. Questo è il grande rischio che corriamo anche noi davanti al tempo di grazia dell’Avvento, ma in generale davanti alla nostra vita. Rischiamo di vivere il quotidiano («mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito») in un modo talmente automatico e abitudinario da essere distratti e non sapere più distinguere ciò che dona veramente senso alla nostra esistenza.
Gesù prende come immagine l’evento del diluvio, evidenziando quelle azioni che, allora come oggi, sono necessarie per la vita: il mangiare, il bere, il dare alla luce dei figli attraverso la relazione coniugale. Ma queste azioni sono vissute in modo egoistico, e infatti Gesù usa il verbo “prendevano… moglie e marito”, additando così la mentalità del possesso, del prendere per soddisfare il proprio bisogno. Per questo non si accorsero di nulla, perché il ripiegamento sui propri bisogni rende ciechi a ciò che accade. La vita comincia a corrispondere all’effimera soddisfazione del prendere e finisce schiava di una spirale senza fine di vuoti che continuamente chiedono di essere riempiti. E così si diventa distratti a ciò che invece abita profondamente il nostro cuore: quel desiderio di amore e amicizia capace di dare un senso al tempo che passa. E si diventa distratti anche a quanti incontriamo nelle nostre giornate, a coloro che attendono da noi una parola, un piccolo gesto, un semplice grazie, un momento di compagnia, un po’ di tempo gratuito, libero da agende folli.
Non si accorsero di nulla: accade quando siamo troppo occupati di noi stessi, del nostro ventre, della nostra immagine, dei consensi da ricevere, tanto da non saper più accorgerci di ciò che accade. Diventiamo incapaci di distinguere (discernere) ciò che dona vita da ciò che ci fa sentire quasi morti: perché, prima o poi, l’illusione di trovare vita nelle cose che si prendono, finisce per generare una tale frenesia di possesso da sentirsi soffocare, come sotto le tonnellate d’acqua di un diluvio.
«Vegliate dunque!», dice il Signore Gesù. Cioè siate di quelli che si accorgono di ciò che accade, dentro e fuori di sé. Siate di quelli che cominciano a pensare che non tutto ciò che raggiunge la nostra persona, i nostri pensieri e desideri, corrisponde automaticamente a ciò che ci dà vita. Vegliare significa essere attenti e scegliere di lasciare entrare nel nostro cuore solo ciò che è secondo il Vangelo, lasciando fuori “al freddo e al gelo” tutto ciò che ha il sapore di parola vana.
Tutto questo non è semplicemente il frutto di un nostro sforzo volontaristico, di un impegno morale così intenso da vincere qualsiasi compromissione con la vanità, ma un cammino: nel tempo di Avvento possiamo attingere alla grazia dello Spirito che risveglia in noi, in modo particolare, il desiderio di incontrare e accogliere il Signore Gesù.
Vegliare corrisponde dunque all’arte del nominare le cose, facoltà che Dio stesso ha donato ad Adamo nel giardino terrestre. È la possibilità e la capacità di riconoscere l’uno tra i tanti e quindi di essere liberi di scegliere da chi lasciarci incontrare e coinvolgere. È in questa dinamica che scopriamo di saper intuire con prontezza l’avvicinarsi del Signore. Lui, come un ladro, viene sempre in modo silenzioso, permettendo così al nostro desiderio di attenderlo, alla nostra veglia di scoprirlo e alla nostra libertà di sceglierlo.
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