Nel brano di Vangelo di questa domenica s’individua la seguente struttura: dopo la rassicurazione al “piccolo gregge” vi sono dei detti sapienziali sul rapporto con i beni terreni, poi una parabola sulla vigilanza e, infine, una doppia parabola sulla responsabilità affidata al servo. “Non temere” è una conosciutissima espressione biblica che è pronunciata per coloro che sono chiamati ad un compito particolare dentro la storia della salvezza (vedi ad esempio per Abramo in Gen 15,1; per Giosuè in Gs 8,1; per Gedeone in Gdc 6,23; per Davide in 1 Sam 23,17 e altri…) e nell’opera di Luca questo incoraggiamento è rivolto a Maria, a Pietro, a Giairo e a Paolo.Sarebbe interessante ripercorrere la seconda parte del profeta Isaia in cui l’invito divino a non temere è rivolto al popolo di Israele e nella quale Dio si definisce “pastore” del suo popolo. Nei momenti cruciali della sua storia Israele ha potuto contare sulla premura pastorale del suo Dio che non l’ha abbandonato a se stesso, né ha permesso che la storia lo inghiottisse. Il gregge di Gesù, pur nella sua piccolezza, deve ricordare quale offerta di assistenza gli viene da chi l’ha radunato. Esso è contemporaneamente “piccolo” e “gregge”: in effetti, chi ha accolto il messaggio di Gesù non sono la maggioranza di Israele. È vero che molta folla lo seguiva per ascoltarlo e per le guarigioni, tuttavia Gesù stesso precisa che si può andare dietro di lui solo portando la croce, quindi lui stesso fissa un criterio di selezione chiaro e severo ed è questo il motivo per nutrire verso i suoi seguaci una grande tenerezza.Dopo l’invito a non “temere” è messo in campo il motivo decisivo per il superamento della paura. Esso risiede in una decisione felice che è stata presa da Dio nei confronti di chi segue Gesù: «Perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno» (Lc 12,32). Come si vede si tratta di una decisione importantissima: il Padre ha molta stima del gregge di Gesù e felicemente decreta per esso il dono del Regno. Il Regno è un dono per chi non conta nulla e questo spiega il compiacimento del Padre nel farne dono ai seguaci del Figlio.Il secondo punto del nostro brano evangelico è costituito da alcuni detti sapienziali su rapporto con i beni terreni. Quel «cercate piuttosto il suo Regno, il resto vi sarà dato in aggiunta» riportato poche righe prima e il vivere in pieno la preghiera del “Padre nostro” portano a condividere il pane con i fratelli, con gli altri. Ciò si realizza dando in elemosina quel che si possiede. Sicuri che, facendo così si mettono al sicuro i propri beni in cielo, dove costituiscono un tesoro che non perisce, perché nessun ladro lo può rubare. È così che si arricchisce davanti a Dio. (Lc 12,21)Il terzo momento del Vangelo di oggi lo possiamo intitolare: “Il discepolo vive in attesa”. Lo stile di vita dei discepoli di Gesù è caratterizzato dalla vigilanza e dalla responsabilità. Il discepolo è una persona che guarda al futuro, da dove attende la salvezza. Per questo egli sta all’erta, sempre pronto come per un viaggio o in tenuta da lavoro. Ma la salvezza futura non è un sogno vago senza nome e senza volto; il discepolo attende il Signore Gesù, per questo il tempo dell’attesa sta sotto il segno della responsabilità e della fedeltà. Quanto più l’attesa si fa lunga e incerta l’ora dell’arrivo, tanto più è necessaria la vigilanza perseverante dei servi. Alla fine i servi sono dichiarati “beati”, fortunati, perché il Signore li ha trovati vigilanti ad attenderlo: egli stesso si metterà a servirli. Questo certo non avviene nella realtà quotidiana del rapporto servi-padroni, ma si realizza nella comunione gioiosa che Gesù fa intuire ai propri amici: «Eppure io sto in mezzo a voi come uno che serve» (Lc 22,27).L’intervento di Pietro che interroga Gesù sulla destinazione del suo insegnamento, (solo per discepoli o anche per tutti) gli da l’occasione di rispondere attraverso due parabole contrapposte: la prima descrive un amministratore in senso positivo, la seconda in modo negativo. La prima parabola mostra come il “servo” responsabile vive l’attesa non solo con atteggiamento di vigilanza ma di vigilanza attiva. Nella parabola contrapposta si prospetta esplicitamente il pericolo che il servo smetta il suo atteggiamento di attesa: “Il mio padrone tarda a venire”, frase che dà la situazione di un discepolo in crisi, che decide di rinunziare a vivere la speranza dell’attesa. Gli avevano detto che Gesù sarebbe ritornato presto e invece la storia continua: ma è proprio vero che tornerà? Sono le difficoltà che la predicazione cristiana incontra nel mondo.Tuttavia è sempre vero che la nostra vita si decide sulla fede o non fede che il Signore ritornerà. Se crediamo ai beni eterni, teniamo un comportamento dettato dalla fede in relazione ai beni di questo mondo: essi sono un mezzo per arricchirsi davanti a Dio e per acquistare i beni eterni, cioè la salvezza.Qualche domanda finale: nella complessità della vita e dell’esistenza cristiana, quanto impostiamo la nostra vita sulla fede del ritorno del Signore? Quanto conta che alla fine della nostra vita il Signore, per noi, verrà in quel momento? Per il cristiano il valore della vita presente è garantito dal suo destino futuro!