Tutto il racconto è incentrato sul Signore Risorto. Tutta l’iniziativa è di Gesù. È lui che appare e sta al cospetto dei discepoli. È lui che mostra le stimmate, dona la pace, affida la missione, soffia su di loro lo Spirito. È ancora lui che, per la forza della sua Parola, trasforma i discepoli da un gruppo intimorito a un gruppo pieno di fiducia, inviato nel mondo per dare vita e speranza.La prima parola del Risorto è l’offerta della pace. È molto di più di un semplice augurio. È una consegna effettiva e autorevole di quella pace che era promessa alla venuta del Messia. Il tema della pace è legato per antitesi a quello della paura, il quale a sua volta richiama l’opposizione del mondo incredulo. L’offerta del Risorto compie quello che era stato promesso nel discorso di addio di Gesù: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbiate timore». Il Risorto quindi viene con la sua presenza, che dona pace, e dissipa il profondo turbamento provocato dalla sua morte. Il Risorto, rassicurati i discepoli con la sua presenza apportatrice di pace, mostra le mani e il costato. Il suo scopo non è togliere la paura di essere vittime di un’illusione, ma far sì che, scoprendo sul suo corpo i segni della passione, i discepoli lo vedano come il Signore: il Crocifisso e il Risorto sono l’identica persona che ora si trova in una condizione nuova. Colui che è stato trafitto è il Salvatore. L’apparizione del Risorto allontana dai discepoli la paura, dona loro la pace, aprendoli alla missione. Questa trasformazione dei discepoli non è frutto del loro impegno o della loro buona volontà, ma è un dono reso possibile dalla presenza di Gesù.La narrazione giovannea ha, nella seconda parte, per protagonista l’apostolo Tommaso, che attesta il dramma del credere. Per approdare alla fede pura e autentica si può passare anche attraverso un itinerario molto incerto o alquanto tormentato. C’è posto, quindi, nell’avventura della fede, anche per chi è ancora dubbioso come Tommaso, che ha bisogno di “segni” per credere.E Gesù ha premura e pazienza anche nei confronti di questa fede così pretenziosa e faticosa, pur celebrando lo splendore della fede pura e radicale con una beatitudine: «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». L’esito della storia di Tommaso è confortante per tutti coloro che procedono a tentoni nella galleria spesso oscura della ricerca di Dio. Infatti, al termine della prova d’appello offertagli da Gesù, Tommaso proclama la sua fede con una purezza straordinaria. La sua professione di fede è una delle più alte del quarto vangelo: «Mio Signore e mio Dio!».Nella Chiesa, allora, non c’è posto solo per i poveri, i malati e gli emarginati, ma anche per chi vive una crisi di fede o una fede ancora immatura o imperfetta. Sono quelli che San Paolo chiama “i deboli”, che facilmente si scandalizzano; sono quelli che l’evangelista Matteo chiama “i piccoli” nella fede, che non devono essere scandalizzati, ma aiutati e illuminati. Basta che costoro non blocchino il loro desiderio di ricerca e la loro attesa. Prima o poi per loro avverrà quello che accadde quella sera a Tommaso. Il Cristo si presenterà sulla porta della loro stanza interiore e anche a loro rivolgerà il saluto di pace e l’invito a fissare gli occhi e il cuore in Lui. E faranno una professione di fede convinta e piena di gioia.Don Maurizio Viviani