Il capitolo quindicesimo di Luca che oggi la liturgia ci propone integralmente è stato chiamato “il libretto delle parabole della misericordia e della gioia”. Con i racconti della pecora perduta, della moneta smarrita in casa e del figliol prodigo illustra l’identico tema: partecipare alla gioia di Dio che accoglie e salva i peccatori. L’amore e la bontà del Padre visibili e operanti in Gesù liberano l’uomo dalle sue miserie, dalla solitudine e dalla disperazione e aprono ad un futuro di libertà e di speranza. La parabola del “figlio prodigo” è una delle parabole riportate soltanto da Luca, una di quelle per cui l’evangelista meritò da parte di Dante il titolo di “scriba della mansuetudine di Cristo”. Si è parlato di questa parabola come del “Vangelo nel Vangelo”, un capolavoro per bellezza letteraria e per intensità spirituale. A ragione è entrata nell’ideale antologia delle pagine più celebri di tutti i tempi. È un classico nell’arte cristiana, un affascinante racconto centrato più sul padre “prodigo” di misericordia che sui due fratelli “prodighi” l’uno di peccato, l’altro di orgoglio.La parabola è distribuita su una vera e propria sceneggiatura in tre atti. Il primo atto è sostanzialmente il prologo al centro tematico della storia. Questo, infatti, non è tanto il racconto di una crisi, ma è piuttosto la vicenda di un ritorno. Il verbo biblico della conversione significa letteralmente “ritornare”, indica un’inversione di rotta dopo un errore di percorso. Il vertice della scena non è, allora, nell’amara storia di un giovane che precipita nell’abisso interiore e spirituale, ma è in quella decisione fondamentale: «Mi alzerò e andrò da mio padre».Il secondo atto è il cuore del racconto. Un uomo spia la strada deserta: è un padre che spera contro ogni speranza, che attende senza tregua il figlio vagabondo, solo e confuso. È lui il personaggio dominante della parabola che è, appunto, la storia di un amore invincibile e ricco di misericordia. Appena si profila all’orizzonte la figura del figlio triste e solitario, egli corre verso di lui per abbracciarlo. Come dicono le sue prime parole, è una morte che diviene vita, è uno smarrimento per vie desolate che si trasforma in ritrovamento gioioso, è la celebrazione piena della riconciliazione che cancella il torbido passato.Il terzo atto è dominato dalla figura del fratello maggiore. Egli, soddisfatto e compiaciuto della sua onestà, guarda con disprezzo tutto il mondo miserabile che lo circonda. La sua reazione è gelida e senza pietà. È convinto di essere creditore nei confronti del padre e soprattutto di aver raggiunto un piedistallo dal quale può giudicare e vantarsi. Egli se ne vuole andare, proprio come aveva fatto il fratello minore, perché quella casa è per lui macchiata da un’ingiustizia macroscopica. Ed ecco che il padre corre incontro a questo figlio ribelle, implorandolo di tornare, accogliendolo con amore intatto e con infinita comprensione.La parabola del figliol prodigo è un canto stupendo in cui si intrecciano alcuni temi fondamentali del Vangelo: l’amore divino, la conversione, il perdono, la speranza, la lotta contro l’ipocrisia e l’orgoglio, la gioia. Il nostro ritorno a Dio non avrà mai la sorpresa triste di trovare un padre distratto o che risponde bruscamente e con freddezza. L’ultima parola di Dio è quella del perdono. L’ultimo suo gesto è l’abbraccio.