Gesù morendo in croce ci mostra l’amore di Dio

«Bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomoperché chiunque crede in lui abbia la vita eterna»

September 11, 2025

| DI Lorenza Ferrari

Gesù morendo in croce ci mostra l’amore di Dio
Giovanni 3,13-17
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».
Poiché la celebrazione dell’Esaltazione della santa Croce quest’anno cade di domenica, la liturgia prevede la proclamazione delle letture proprie di questa festività. La Chiesa intende così offrire la possibilità di guardare in modo diverso e ulteriore le fatiche, le sofferenze, le ingiustizie che fanno parte della vita umana alla luce dell’esperienza e della testimonianza che il Figlio di Dio ha dato al mondo.
Il testo evangelico di questa domenica è tratto dal discorso che Gesù intrattiene con Nicodemo, un fariseo del tempo, mentre prosegue la discussione circa la possibilità di una autentica rinascita dell’uomo. Secondo il Nazareno tale opzione è accessibile solo grazie alla potenza di Dio, per opera dello Spirito. A ciò aggiunge un’affermazione di non immediata comprensione secondo la quale perché lo Spirito sia effuso su tutta l’umanità è necessario che il Figlio dell’uomo sia “innalzato”. Tale espressione significa che Gesù deve essere alzato da terra, fatto che si realizza quando Egli verrà messo in croce. L’innalzamento di cui si parla in questo testo è paradossale perché pare coincidere con quanto di più infimo e doloroso si possa affrontare: il supplizio della condanna a morte e la crocifissione. L’evangelista Giovanni, riportando le poche parole del Nazareno, rende evidente come al cuore della fede cristiana ci sia qualcosa di incredibile: l’innalzamento del Figlio di Dio coincide con ciò che comunemente è ritenuto come l’abbassamento più grande. La morte di croce era la pena che veniva comminata ai maledetti da Dio, agli infami, ai banditi della peggior specie, ed è la sorte che spetta a Gesù. 
Sin dall’inizio della pericope, accostando l’innalzamento di Gesù con quello del serpente da parte di Mosè, l’autore fa riferimento ad un episodio anticotestamentario, narrato nel libro dei Numeri (Nm 21,6-8). In tale racconto è descritto il popolo di Israele che, mentre si trova nel deserto dopo essere uscito dall’Egitto, mormora e si ribella a Dio poiché patisce la mancanza di acqua e di cibo. Mosè, per fare in modo di evitare che coloro che si lamentano subiscano il castigo dei “serpenti che bruciano”, costruisce un serpente e lo colloca su un’asta perché Dio ha promesso che “chiunque lo guarderà resterà in vita” (Nm 21,8). Quest’ultima immagine è molto affine a quanto scrive Giovanni e rende visibile la circostanza per cui chiunque crede nel Figlio dell’uomo innalzato e volge a Lui il suo sguardo ha l’accesso alla vita eterna.
Vivendo la sua esistenza terrena in mezzo alla gente, facendo del bene senza sottrarsi mai al suo destino benché fosse doloroso e ingiusto, il Nazareno ha mostrato all’umanità che Dio è amore, che il Signore di cui Lui parla ha deciso in maniera totalmente gratuita di inviare nel mondo il suo unico Figlio per rendere accessibile a chiunque la salvezza. Il dono divino è a favore del dare la vita, non la condanna o la morte agli uomini. Vivendo e donando la sua esistenza Gesù ha generato e trasmesso vita negli altri. Tale capacità di donarsi generosamente, di spendersi per gli altri, però, non gli ha evitato lo scontro difficile e doloroso con il rifiuto che alcuni gli hanno opposto. La salvezza che il Nazareno porta è offerta a tutti, ma sono solo alcuni quelli che accedono alla fede e accolgono il dono divino. 
L’amore che incarna il Maestro è forte, tenace e fedele, ma non si traduce in una dimensione totalitaria, non crea obblighi, non cela pretese di gratitudine e reciprocità. L’amore che ha incarnato il Nazareno si nutre del rispetto della libertà dell’uomo. Potrà sembrare un’ovvia o retorica sottolineatura ma non lo è. Se lo scopo e il fine ultimo dell’invio del Figlio da parte di Dio è la salvezza dell’umanità e non la sua condanna o punizione, significa che questo è il mandato che attende alla comunità dei credenti. La Chiesa, nel suo stare tra la gente, è chiamata ad essere segno di accoglienza, di misericordia, a mostrare a donne e uomini affranti e appesantiti dalle vicende della vita che il giudizio appartiene a Dio e che è possibile dare senso anche a situazioni che l’occhio umano giudica solo negativamente. La croce, che per gli uomini è segno di sconfitta e umiliazione, per il credente è la realtà che permette a Cristo di innalzarsi da terra testimoniando fino alla fine e anche oltre l’amore autentico di Dio per l’uomo.

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