Bene sfilare ma non fabbricare violenza e violenti

October 15, 2025

| DI Bruno Fasani

Bene sfilare ma non fabbricare violenza e violenti
Sono tanti gli italiani scesi in piazza per manifestare a favore del popolo palestinese. Ed è una bella cosa se la gente, finalmente, prende posizione contro le ingiustizie del mondo. Vorrebbe dire che non è vero che siamo tutti individualisti e indifferenti. Anzi, questo starebbe lì a testimoniare che il male ci disturba ancora e la coscienza non ha spento le luci della sua vitalità. Ma è proprio vero e tutto così? A sollevare qualche dubbio è il fatto che non tutte le sofferenze sembrano godere della stessa cura. Penso ai bambini dell’Ucraina. Non solo quelli che muoiono sotto l’effetto dei droni, ma anche le decine di migliaia che vengono portati in Russia dalle terre di confine e dati in adozione a famiglie russe. Anche le loro lacrime sono salate. Penso alle donne afgane o a quelle iraniane, per le quali non ci sono piazze imbandierate e cortei di protesta. Penso alle spose bambine, a quelle infibulate, ai bambini soldato e ai tanti scenari di guerra, sepolti sotto la più totale indifferenza. Anche tutte queste persone sono violate nei loro diritti fondamentali. 
Ma ad indignarmi maggiormente sono le frange di violenti che, senza il coraggio di metterci la faccia, scendono in piazza per distruggere e mandare le forze dell’ordine all’ospedale, mentre impediscono ai cittadini comuni di vivere la loro quotidiana normalità e l’esercizio dei loro diritti. E certa parte politica a minimizzare o a giustificare tutto questo come il più irrilevante dei fatti, facendo sì che il male sia minimizzato nelle coscienze, se non anche giustificato e reso comunque banale. I processi di imbarbarimento iniziano sempre in questa maniera e si concludono sempre col far naufragare la civiltà in cui si è immersi. Risuona, dietro questi scenari, la sinistra profezia di Hannah Arendt circa la banalità del male, ossia il fatto che vivere dentro scenari violenti toglie la percezione di commetterlo e quindi il senso di responsabilità. 
Se la violenza fisica è pericolosa nel creare nuovi stili di vita, non meno pericolosa è quella verbale che fiorisce spesso da certo sentire del cosiddetto mondo culturale. Circola in questi giorni uno slogan assai diffuso. È uno slogan nato nel mondo anglosassone dove, nella lingua inglese, fa la rima (from the River to the Sea, Palestine free). In italiano significa: dal fiume (Giordano) al mare, Palestina libera. Dove sta la pericolosa ambiguità di questo messaggio? Sta nel fatto che volendo la Palestina uno Stato libero dal Giordano al mare, per fare ciò si renderebbe necessaria la soppressione di tutti gli ebrei. Un messaggio capace di dar vita ad un antisemitismo, che assomiglia ad un rigurgito di nazismo.
I governi sbagliano e le loro azioni vanno condannate, ma non si può far coincidere la loro responsabilità con quella delle popolazioni che essi governano. Sarebbe lo stesso come demonizzare il popolo tedesco per il dramma del nazismo o quello italiano, per via del fascismo. Avere le idee chiare su questo fronte vorrebbe dire anche aiutare le nuove generazioni a costruirsi una coscienza matura dentro quel senso di libertà dove si nasconde invece tanta indifferenza, insensibilità morale, povertà di valori e tanta confusione nel distinguere il bene dal male.

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