“Un europeo molto grande”: così l’allora Segretario generale del Consiglio d’Europa, la francese Catherine Lalumière, definì pubblicamente frère Roger Schutz consegnandogli il premio Robert Schuman 1992. Il motivo stava nel fatto che solo con la forza delle idee e del cuore era riuscito a concretizzare ciò che potenti e organizzazioni avevano poco più che ipotizzato: creare spazi di riconciliazione e unità tra popoli e confessioni cristiane che nel Vecchio continente si erano fronteggiati per secoli.
In questi giorni si ricorda il ventesimo anniversario della sua morte – avvenuta in modo tragico il 16 agosto 2005 – e del funerale, il successivo martedì 23, quando 12mila persone si ritrovarono in un villaggio francese che conta meno di 200 abitanti: Taizé. Quel fiume di gente fu un segno dell’impegno della sua vita, trasformando una semplice collina dentro una zona storicamente contesa dalle potenze locali a pochi passi dall’abbazia di Cluny – con la sua ricca spiritualità e la faticosa decadenza –, in un luogo di accoglienza delle diversità.
Figlio di un pastore protestante svizzero e di una donna francese, Roger nacque il 12 maggio 1915 a Provence nel Cantone di Vaud. Nel 1937 iniziò a studiare teologia riformata a Strasburgo e Losanna, ma nel 1940 decise di trasferirsi definitivamente in Francia dove arrivò praticamente solo con la sua bicicletta.
L’inizio della Seconda Guerra mondiale aveva risvegliato in lui un doppio desiderio: creare una comunità caratterizzata da fedeltà al Vangelo, semplicità e benevolenza; offrire aiuto alle persone provate dal conflitto come già aveva fatto la nonna durante la Prima Guerra mondiale.
Affiancato dalla sorella e dai primi compagni iniziò il servizio di accoglienza, ospitando profughi di guerra ed ebrei; per questo ebbe problemi con la Gestapo e dovette allontanarsi da Taizé, ma solo dal 1942 al 1944 per poi renderla una sorta di “capitale del bene” pure nei periodi di odio che tanti respiravano e alimentavano. Varie persone nei decenni si unirono con il desiderio di condividere una preghiera rispettosa delle diverse tradizioni e uno stile di ospitalità fraterna.
Elementi che rimangono ancora oggi e che diventano esempio per tutti gli europei; a renderlo ancora più evidente, le parole di Mario Draghi al Meeting di Rimini quando ha sottolineato come sia stata un’illusione pensare che la grandezza e i valori dell’Europa fossero “garantiti” da un grande mercato economico e dalle istituzioni. La differenza la fanno le persone.