Torresani, Assul, Marangon, Ferrari, Osasuyi, Trucchetti, Atamah, Iannuzzi. Sono gli 8 giovani scesi in campo nella finale europea di basket under 20 e che hanno riportato il titolo in Italia dopo 12 anni. A comporre la rosa, ma non impiegati in finale per infortunio, anche Valesin, De Martin, Zanetti e il veronese Theo Airhienbuwa. Nato nel 2006 a Isola della Scala da padre nigeriano e madre veronese, è cresciuto a San Giovanni Lupatoto e ha concluso da poco gli esami di maturità al liceo scientifico Galileo Galilei (in Borgo Roma); ha iniziato con il minibasket nel Buster, ha fatto la trafila nelle giovanili nella Scaligera fino al debutto in serie A2 e la prossima stagione lo vedrà in A1 nell’ambiziosa Trento.
Alla guida della squadra c’era Alessandro Rossi che ha sfruttato al meglio l’atletismo e la tecnica dei singoli giocatori, ma soprattutto ha saputo amalgamare un gruppo coeso, che non si è fatto intaccare neanche da alcune stupide frasi razziste pubblicate da alcuni cosiddetti “leoni da tastiera”. I quali, per assurdo, hanno un merito: far riemergere che la questione della cittadinanza e dell’integrazione è tutt’altro che risolta.
In questo periodo di piena estate del 1938 un gruppo di studiosi fascisti, docenti nelle Università italiane, firmarono il cosiddetto Manifesto della razza che fu pubblicato su Il Giornale d’Italia (14 luglio) e sulla rivista La difesa della razza (5 agosto). Si affermava che l’esistenza delle razze è una “realtà fenomenica, materiale, percepibile con i nostri sensi” per cui gli italiani da almeno un millennio sono “uomini simili per caratteri fisici e psicologici”: una “antica purezza di sangue (che) è il più grande titolo di nobiltà della Nazione italiana”.
Bastò poco per capire che non c’era nulla di scientifico e che si trattava di piegare la storia della popolazione abitante in Italia a una manipolazione ideologica.
Sono passati ormai novant’anni, ma siamo ancora qui a chiederci chi ha diritto di considerarsi italiano. Airhienbuw ha spiegato che semplicemente la vita, la famiglia, lo sport e la scuola gli hanno insegnato che non è il colore della pelle a deciderlo. In questi decenni sono cambiate molte cose e la gente si è spostata – per volontà o necessità – probabilmente più che in qualsiasi altro periodo storico; e così ci siamo “mescolati”, con l’effetto di vincere in sport che mai avremo pensato (basket, atletica, ma anche cricket), ma il rischio di perdere sul campo politico e culturale.
Ne parliamo nelle pagine successive.