Un Rigoletto a due facce

Del tutto appagante sul piano visivo, ma con qualche problema sotto il profilo musicale con Spotti e Pati non in grande serata

August 9, 2025

| DI Mario Tedeschi Turco

Un Rigoletto a due facce

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Rigoletto è l'ultima opera presentata dal Festival areniano, con quattro spettacoli la cui prima è andata in scena venerdì 8 agosto. Dopo l'esperimento in chiave neorealista di Antonio Albanese, si è puntato quest'anno sulla ripresa dell'allestimento del 2003 (visto anche nel 2013 e nel 2017), con regia di Ivo Guerra e scenografia di Raffaele del Savio, ispirata al concetto di Ettore Fagiuoli del 1928: e quindi abbiamo avuto un'idea generale di messa in scena di tipo letterale/illustrativo, con fondali mantovani dipinti, dettaglio di costumi cinquecenteschi, cambio di ambientazioni secondo libretto, recitazione stilizzata di tradizione. Tutto molto old fashion (per fortuna, direbbe qualcuno: abbiamo evitato la ricollocazione "in un futuro distopico"), ma tutto realizzato benissimo, con perfetto senso del melodrammatico gotico nel finale, e soprattutto con una chiarezza narrativa che permette al pubblico di seguire con facilità la vicenda e i suoi formidabili, innovativi scarti drammatici. La qual cosa costituisce un gran pregio per un pubblico come quello areniano, popolare, turistico e non specializzato per lo più. En passant, ricordiamo della coppia Guerra/del Savio una magnifica Elektra di Richard Strauss proposta al Filarmonico nel 2003, che evocava una Grecia arcaica di selvaggia potenza: peccato non averla più ripresa.
Tornando al Rigoletto della prima, qualche incertezza si è registrata per la concertazione e direzione di Michele Spotti, specie nel primo atto: scollamenti tra buca e palco, rallentamenti per riprendere il ritmo, poca intesa con il canto dei solisti. Un po' meglio nel prosieguo della recita, ma l'impressione di un tactus eccessivamente erratico, talora tirato via, talora incongruamente slentato, ci ha fatto pensare a un lavoro di prova non ottimale, per quanto l'orchestra e il coro si siano disimpegnati nel complesso piuttosto bene, specie nell'equilibrio fonico delle sezioni strumentali. Peccato, perché Spotti – che avevamo sentito l'anno scorso dirigere un'ottima Turandot – è certo direttore giovane tra i più promettenti d'Italia.
Anche dal punto di vista vocale si è udito più di un problema: il Duca di Mantova interpretato da Pene Pati ha convinto per timbro e dizione, ma quanto a peso specifico e registro acuto ha lasciato assai a desiderare, anche con un'evitabile rottura di voce sull'acuto opzionale alla fine di La donna è mobile. Serata storta e cantante (lanciatissimo, anche discograficamente) da rivedere senz'altro. Nina Minasyan, chiamata a sostituire l'annunciata Nadine Sierra nella parte di Gilda, ha cantato con apprezzabile correttezza, ma nulla più, mentre il baritono Ludovic Tézier ha fatto sentire la sua classe superiore di attore/cantante specie nel secondo atto e nel finale, avendo iniziato anch'egli la recita in maniere piuttosto generica per fraseggio, sprecando le possibili nuances espressive del canto nella formidabile scena con Sparafucile, sintesi geniale operata da Verdi tra il linguaggio dell'opera italiana e lo spirito del mélodrame romantico francese. In questo caso per fortuna è giunto a supporto un eccellente Gianluca Buratto, che ha plasmato la sinistra figura del sicario non solo con vocalità perfetta, ma con un piglio attoriale di assoluto rilievo, confermato altresì nel finale d'opera. Benissimo anche la Maddalena di Martina Belli, dal timbro tornito e dalla presenza scenica travolgente, e ottimo anche il Monterone di Abramo Rosalen.
Alla fine una serata a due facce: pienamente appagante sul piano visivo, problematica dal punto di vista musicale, in cui la forza tellurica della scrittura di Verdi ha stentato ad imporsi con la possanza tragica che le compete. Ci sono buone possibilità di revisione e ripresa, tuttavia, nelle altre tre recite previste (con vari cambi di cast, ma con la medesima, eccellente regia), il 22 e il 30 agosto e il 6 settembre

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