«La poesia ci aiuta ad essere umani e oggi ne abbiamo tanto bisogno»: così padre Antonio Spadaro ha concluso il “Dialogo sulla poesia sociale” giovedì 2 sera in Gran Guardia, nella seconda giornata della rassegna Poeti sociali. Con lui si è confrontato il giornalista scrittore (e viaggiatore) Paolo Rumiz che ha constatato, a partire dal tema “Fraternità è il nome della pace”: «La mancanza della fraternità è il problema del mondo e le immagini ce lo ricordano continuamente. Questo aveva colto papa Francesco nello scrivere l’enciclica Fratelli tutti e credo che solo la fraternità ci salverà». Per il triestino, che ora ha detto di essersi spostato ad abitare in territorio sloveno, la forza e le negazioni della fraternità le ha viste da sempre: «Mia mamma mi ha partorito nella notte in cui venivano pianta i picchetti della nuova frontiera tra Italia e Jugoslavia. Sono figlio del confine e questo mi è sempre dato il desiderio di scoprire gli altri, proprio nelle loro diversità». Padre Spadaro è nato a chilometri di distanza, a Messina: «Mi piace, però, definirmi più uno “strettino” perché mi sono accorto che vedo le cose in maniera diversa da chi è abituato alla montagna, alla pianura, ma anche a chi ha davanti il mare aperto. Io ho sempre fatto i conti con una linea che definiva l’orizzonte e questo mi ha aperto a cercare l’infinito in altri aspetti». Di una cosa sono certi entrambi ovvero che in questo tempo di crisi occorre recuperare l’arte, la poesia, la corporeità e il desiderio dell’incontro. Così Rumiz: «Siamo in una fase di afasia, di imbarbarimento del linguaggio e quindi del pensiero. Dobbiamo ricordare che, come europei, nasciamo da migrazioni e dal continuo confronto tra culture diverse che si sono aperte al dialogo e da cui è nato un arsenale di parole».
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