Il Fatto di Bruno Fasani
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Presto Paolo VI sarà fatto santo un profeta, un condottiero di Dio

Ricordo come se fosse cosa di poco fa la sera del 6 agosto 1978. Io, giovane curato, ero in auto con il mio parroco e si stava tornando da Assisi, quando la radio diede l’annuncio della morte di Paolo VI. Ammutolii con il groppo in gola...

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Ricordo come se fosse cosa di poco fa la sera del 6 agosto 1978. Io, giovane curato, ero in auto con il mio parroco e si stava tornando da Assisi, quando la radio diede l’annuncio della morte di Paolo VI. Ammutolii con il groppo in gola. Era morto il mio Papa. Non che non abbia apprezzato e stimato gli altri, venuti dopo di lui. Ma con loro era una cosa diversa. Era stima che nasceva dal ragionamento, da considerazioni teologiche ed ecclesiali. Con papa Montini era qualcosa di emotivo, prerazionale. Mi affascinava quella sua voce incline al roco, piena di ieraticità e di toni mistici. Lo ascoltavi e nessuna parola era in più o in meno. Le sue erano sentenze, calate col garbo della gentilezza, ma scultoree nella pacata solennità.
Di lui mi affascinavano gli scritti. Chi non avesse letto Pensiero alla morte o il suo Testamento sappia che si è perduto pagine di grandezza biblica. Ma erano tutti i suoi scritti che ti obbligavano a fermarti a pensare. Qualcosa di analogo lo trovavo allora nel giovane Ratzinger. Da Papa qualche volta si sentiva troppo la mano di altri, o il freno che gli veniva dal ruolo, ma prima era inarrivabile.
Di Paolo VI mi affascinava la sua impopolarità. Capii allora che i veri profeti, come tutti i condottieri (e i vescovi dovrebbero essere tutti dei condottieri) vivono la solitudine di chi sta davanti e vede più lontano. Il cicaleccio degli scontenti può anche diventare brusio o chiasso, ma il condottiero, come Ulisse con le sirene, deve chiudere gli orecchi per non sentire ed essere condizionato. Perfino le sirene di tanti vescovi, in disaccordo con lui sul divieto alla pillola. Incurante, Papa Montini pubblicò l’Humanae Vitae. L’opinione pubblica lo sommerse di contumelie. Cinquant’anni dopo siamo tutti qui a piangerci addosso per una cultura che ha eliminato la fecondità dall’orizzonte sessuale, con le conseguenze sull’incremento demografico che ben conosciamo.
Che fosse un uomo scomodo, del resto, non era solo fuori dalle mura del Vaticano. Quando nel 1954, dopo 31 anni passati in Segreteria di Stato, fu mandato vescovo a Milano, fu per una mossa dei conservatori, capitanati dal cardinale Ottaviani, perché non fosse fatto cardinale ed entrasse nel Conclave che si sarebbe tenuto dopo quattro anni, quando uscì eletto papa Giovanni XXIII. A dare fastidio era il suo spirito innovatore, di cui portava l’imprinting grazie alla fucina bresciana in cui era cresciuto. Così come la sua “resistenza” culturale durante il fascismo, che lo aveva portato a fraternizzare con i giovani universitari cattolici, diventati dopo la guerra l’ossatura portante della Dc.
Fu lui, una volta eletto Papa a condurre a termine il Vaticano II, richiamando l’urgenza di tornare a evangelizzare una società che si stava rapidamente scrollando di dosso il patrimonio cristiano. E fu lui a scegliere per la Chiesa l’opzione spirituale, evitandole un appiattimento sulle posizioni politiche di allora, che le avrebbero causato lo stesso destino occorso alla Democrazia cristiana.
A ottobre la Chiesa lo proclamerà santo. Forse anche in quella veste non avrà molti che ricorreranno a lui. Come l’apostolo Giuda Taddeo, invocato da pochi, per paura che sentisse Giuda il traditore, ma proprio per questo sempre pronto a concedere la grazia ogni volta che qualcuno facesse ricorso a lui. Anche Paolo VI è stato un profeta scomodo, ma con la tenerezza dei giganti di Dio.

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