Ma l’essere anziani è diventata una colpa?
Alla violenta arroganza dei bulli ormai non c’è più limite. E neppure alla loro stupidità. Se mai, di nuovo, c’è l’innalzamento della loro anagrafe, come lo zero termico in tempi di scirocco. Non più adolescenti senza spina dorsale con genitori faloppi. Oggi ci si mettono anche giovani malriusciti, fermi psicologicamente alla sinfonia numero 8 di Schubert, altrimenti detta l’Incompiuta.
Alla violenta arroganza dei bulli ormai non c’è più limite. E neppure alla loro stupidità. Se mai, di nuovo, c’è l’innalzamento della loro anagrafe, come lo zero termico in tempi di scirocco. Non più adolescenti senza spina dorsale con genitori faloppi. Oggi ci si mettono anche giovani malriusciti, fermi psicologicamente alla sinfonia numero 8 di Schubert, altrimenti detta l’Incompiuta. L’ultimo episodio va in scena a Verona qualche mese fa. Un tranquillo signore, insieme ad un amico, va a bere qualcosa al bar, nella centralissima Piazza delle Erbe. Non sa, lo sprovveduto, che avere cinquant’anni, di questi tempi, potrebbe risultare una colpa imperdonabile. «Sei troppo vecchio per stare qui, mi ricordi mio padre», gli intima categorico il bullo di turno appoggiato al bancone. Il signore capisce che con i cretini non c’è ragione che tenga. Gira i tacchi e se ne va. Giusto il tempo di attraversare la piazza, che una gragnuola di pugni lo butta a terra. Rottura del timpano e della faccia serviti da un perentorio: «Non farti mai più vedere da queste parti, perché ti ammazzo». I dettagli vengono confermati da telecamere e testimoni. «Il soggetto ha precedenti per rissa» diranno i carabinieri. Ma di questi tempi, in cui non vai in galera neanche se massacri l’inquilino che stai derubando, picchiare la gente rischia di sembrare una goliardata da film Amici miei. Il furbastro, messo con le spalle al muro, si dice disponibile a chiedere scusa. Della serie: finisca qui a vino e tarallucci. Difficile tirare conclusioni da un episodio del genere. In altri tempi, tipi così li avrebbero spediti in Legione straniera o in qualche miniera a cavar carbone. Oggi ci dobbiamo accontentare di vederli girare con l’auto di papà, con il bancomat di papà e con le coccole della madre. Poi non importa se finiscono per detestare il padre, quello stesso padre di cui si servono, ma di cui non percepiscono né valore, né autorevolezza. Genitori padri più avvezzi a far vedere la virilità che la paternità. Eppure l’episodio lascia intravvedere tra le righe una cultura crescente di scollamento, disinteresse e perfino rifiuto verso anziani e vecchi. Non sempre questa cultura si esprime nei toni beceri del bullo nostrano. Più spesso si mimetizza in un’indifferenza crescente, che genera solitudine ed anche abbandono e trascuratezza. Un’eutanasia strisciante, come la definisce papa Francesco, come se i vecchi fossero un peso sociale di cui liberarsi, magari in guanti bianchi. A chi mi ricorda scandalizzato le caste indiane, di solito oppongo la cultura nostrana delle caste anagrafiche. Perfino nelle nostre comunità cristiane è diventato sempre più difficile mettere insieme generazioni diverse. In nome di presunti principi pedagogici e didattici abbiamo tirato su steccati incomunicabili. E la chiamiamo cultura.