Legislatori non adeguati o magistratura creativa?
Criticare l’operato dei giudici, di questi tempi, è diventato pericoloso come toccare i fili dell’alta tensione. Ne sa qualcosa il vescovo di Chioggia, mons. Adriano Tessarollo. Ma partiamo dai fatti...
Criticare l’operato dei giudici, di questi tempi, è diventato pericoloso come toccare i fili dell’alta tensione. Ne sa qualcosa il vescovo di Chioggia, mons. Adriano Tessarollo. Ma partiamo dai fatti. È la notte tra il 25 e il 26 aprile del 2012 quando, a Civé di Correzzola, nel Padovano, tre ladri sfondano la vetrata di una tabaccheria per fare bottino. Il titolare, Franco Birolo, sentendo il fracasso, scende nel negozio da una scala interna armato di pistola. Qui succede il patatrac. Illuminato dalle luci sinistre delle sirene, alla fine, sul pavimento resta il cadavere di un moldavo di 22 anni. Per quel fatto, nei giorni scorsi il giudice Beatrice Bergamasco emette la sentenza a carico del Biroli. Due anni e 8 mesi di carcere più 325mila euro da rifondere alla famiglia del ladro. Non una virgola in più e non una in meno. Al che, al cittadino incolto, che ragiona a pancia e spesso con buon senso, viene subito a galla un ragionamento. Fare i ladri conviene sempre. Se la fai franca, porti a casa il bottino. Se ti feriscono, hai a disposizione un vitalizio. Se poi ti impallinano come uno storno e ci lasci la pelle, la tua famiglia avrà comunque il pasto garantito. Il vescovo di Chioggia, convinto che i pastori debbano dare voce al loro gregge, va sul settimanale diocesano e scrive: “Mi ha colpito la sanzione di 325mila euro. Quello che non era riuscito a rubare il ladro da vivo, glielo ha dato il giudice, completando il furto”. Certo le parole sono di piombo, ma la valanga di consensi fioriti intorno a queste parole, la dicono lunga sul sentire della gente. Esasperata da una delinquenza sempre più invasiva e da una giustizia che non sembra dare risposte adeguate a quella che è diventata una vera e propria epidemia sociale. Fin qui i fatti. Certo, mons. Tessarollo avrebbe potuto pararsi le terga puntando il dito contro le leggi che bla bla bla… Al massimo si beccava una denuncia da qualche parlamentare, perché il magistrato può sempre dimostrare, codice alla mano, che quanto fa è rigorosamente in sintonia con le norme scritte. Nessun margine per il buonsenso, per la discrezionalità, nessuna attenuante per le ragioni di chi, vittima della delinquenza, si trova improvvisamente nel ruolo di carnefice. La legge è legge, e non indulge ai sentimenti. Restano sul tappeto alcune domande. Ma davvero i giudici applicano sempre le leggi o talvolta si concedono applicazioni creative ed estemporanee, soprattutto in ambito bioetico? Dato per scontato che i giudici applicano la legge, è proprio vero che tale applicazione è sempre esente da errori o contaminazioni ideologiche? Mi sembra che i vari discorsi di apertura dell’anno giudiziario, che abbiamo sentito recentemente, contemplino anche questa seconda ipotesi. Infine: perché nell’immaginario collettivo la disaffezione verso i magistrati è cresciuta in maniera esponenziale? Tutta colpa della mancanza di cultura giuridica di vescovi e cittadini?