La legge del taglione non è mai giustizia
I fatti scorrono veloci sugli orologi della memoria, ma quanto accaduto a Vasto, in provincia di Chieti, non può esaurirsi nei resoconti della cronaca. C’è un qualcosa di più che arriva a scomodare la riflessione ed anche la coscienza.
I fatti scorrono veloci sugli orologi della memoria, ma quanto accaduto a Vasto, in provincia di Chieti, non può esaurirsi nei resoconti della cronaca. C’è un qualcosa di più che arriva a scomodare la riflessione ed anche la coscienza. L’episodio è noto. Siamo al primo luglio dello scorso anno quando Roberta Smargiassi ha la sfortuna di trovarsi ad un incrocio, in sella al proprio motorino. Il verde l’autorizza a passare, ma dall’altra parte c’è un ragazzo, Italo D’Elisa, che sfreccia veloce col rosso, convinto di poter fare altrettanto. L’impatto è devastante e Roberta muore di lì a poco. Sette mesi dopo, Fabio Di Lello, marito della vittima prende una pistola, va a cercare chi ha ucciso sua moglie e, con quattro colpi ravvicinati consuma la sua vendetta. Poi va sulla sua tomba, lascia l’arma in una busta di plastica, quindi chiama il proprio avvocato e i carabinieri. Il dolore è certamente qualcosa di indescrivibile e sempre soggettivo, soprattutto quello psicologico che rode la mente come un tarlo, portando ad esiti imprevedibili. Ma il dolore, per quanto meriti rispetto, non può mai legittimare che un uomo si trasformi in assassino. Italo D’Elisa era un omicida, indagato per omicidio stradale. Tra poco avrebbe dovuto presentarsi davanti al giudice per rispondere di ciò che aveva commesso. Ma il marito di Roberta è un assassino, responsabile di omicidio volontario premeditato. Le parole sono crude, ma sono le uniche che ci impediscono di spalmare col grasso del buonismo la ruvidezza di un fatto che si sottrae alla logica della legge, per restituirci quella del taglione. Lo Stato dovrà farsi carico di intercettare la sofferenza della gente, soprattutto togliendo la sensazione di una giustizia sempre in ritardo e senza certezza della pena, ma i cittadini non possono indossare i panni del giustiziere della notte (giusto per servirci del titolo e della logica brutale di un film di qualche tempo fa) per regolare i conti con i propri avversari.
Inneggiare all’episodio su Facebook, come sta avvenendo tra i conoscenti e gli amici di Roberta, è seminare e coltivare la cultura di un fai da te violento e senza regole. La legge è nata per regolare i rapporti sociali, evitando che fossero gli umori soggettivi a stabilire i criteri di giustizia con cui trovare soluzione ai problemi. La cultura della vendetta, gestita su basi emotive personali, apre a scenari i cui esiti sono imprevedibili.
Anche ammazzare la donna che ti lascia appartiene a questa logica. Anche buttarle l’acido per sfigurarla è comunque, a modo suo, una forma di giustizia sommaria, dove il male non è più misurato con criteri oggettivi, ma elaborato sulla percezione soggettiva di un danno subito.
Ragionare a questo modo non va soltanto contro i principi morali che ci derivano dall’essere cristiani. È la civiltà stessa che viene mandata al macero, lentamente ma inesorabilmente.