Dietro lo spreco di cibo cattive abitudini e indifferenza
Leggi i dati della Fao sugli sprechi di cibo nel mondo e subito, non senza un po’ di moralismo di maniera, il ricordo corre a quando tua madre preparava saporiti Paninbrodo, con gli avanzi del pane raffermo. O quando la vedevi pulire le foglie dell’insalata, ritagliandola come un merletto, perché nulla andasse sprecato. Altri tempi e il ritornarvi col pensiero è una sorta di compensazione ai sensi di colpa o una sorta di evasione per non guardare in faccia il problema...
Leggi i dati della Fao sugli sprechi di cibo nel mondo e subito, non senza un po’ di moralismo di maniera, il ricordo corre a quando tua madre preparava saporiti Paninbrodo, con gli avanzi del pane raffermo. O quando la vedevi pulire le foglie dell’insalata, ritagliandola come un merletto, perché nulla andasse sprecato. Altri tempi e il ritornarvi col pensiero è una sorta di compensazione ai sensi di colpa o una sorta di evasione per non guardare in faccia il problema. Già! Alzi la mano chi non butta via niente nel bidone della spazzatura.
Le cifre sono lì e parlano da sole. In Italia, secondo l’indagine della Coldiretti sui dati mondiali della Fao, si buttano via 76 chili di cibo pro capite all’anno. Eh, direte voi, non l’hanno sparata un po’ grossa? Certamente non tutti buttano una simile quantità di cibo, ma per capire il dato va tenuto presente che ogni sera migliaia e migliaia di locali che servono gastronomia buttano il rimasto invenduto. A questo vanno aggiunte le tonnellate di cibo scaduto che i grandi supermercati distruggono, spesso cospargendoli di calce per evitare che qualcuno li recuperi. Se oltre a questo sommiamo le tonnellate di frutta che vengono mandate al macero per impedire il calo dei prezzi, il conto è presto fatto. Alla fine la somma mondiale dello spreco ci parla di 1,3 miliardi di tonnellate di cibo buttato, 670 milioni nei paesi industrializzati, 630 in quelli in via di sviluppo. Una cifra spaventosa sufficiente a sfamare gli 850 milioni di esseri umani che rischiano la morte di fame, tra i quali 165 milioni di bambini, e i due miliardi di persone che soffrono di fame nascosta, che non hanno, cioè, un adeguato apporto di vitamine e minerali sufficienti per tenerli in salute.
Raccontata così, la storia potrebbe sembrarci cosa che riguarda gli altri, contro i quali imbastire ipocritamente pubblici processi. Perché non dare gli avanzi ai poveri? Perché non darli a chi ha davvero fame? Domande pelose, alle quali bisognerebbe rispondere con le contro domande.
E allora, perché quando andiamo a fare la spesa, non ci atteniamo rigorosamente a quel foglietto in cui abbiamo elencato le cose che realmente ci servono? Sappiamo bene come funziona la storia. Si entra per comprare cinque prodotti e si esce col carrello pieno. Questo perché spesso non si fa il controllo prima di partire di casa su quello che manca realmente, magari andando a snidare i barattoli confinati negli armadietti, quelli che continuiamo a comprare con la fissazione di un nevrotico compulsivo, salvo scoprire una volta a casa, che, di quel prodotto, ne avevamo già in abbondanza.
E perché non mettere in bella evidenza i prodotti in scadenza, anziché stiparli come si infilano i maglioni dentro l’armadio? E ancora, perché non congelare il cibo avanzato, pronto per essere riciclato al prossimo pranzo di emergenza? Nell’abbondanza di cibo che si compra e poi si butta, credo vada sottolineata anche la preoccupazione inconscia di restarne senza. Una sorta di paura che fiorisce dal tronco dello spirito di sopravvivenza.
Come se il frigo pieno fosse la madre rassicurante al nostro istinto di conservazione. Ne è prova il fatto che basta un annuncio di tempo avverso da parte dei servizi meteorologici perché si scateni la corsa all’approvvigionamento.
Tra non molti giorni, l’inizio della Quaresima, con i suoi richiami al digiuno, sarà occasione per rimettere ordine alla nostra oralità, magari cominciando col diventare essenziali nella scelta del cibo. Oppure con l’evitarne lo spreco. Usando anche quello scaduto, ma non andato a male, se fosse il caso. Facendo semplicemente come le nostre nonne. Ovvero, passandoci sopra il naso, per capire al volo la possibilità di utilizzarlo ancora.