Il Fatto di Bruno Fasani
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Ancora una riflessione sull’abuso del digitale

La scorsa settimana ci siamo fermati a riflettere sulle nuove dipendenze, che talvolta potremmo chiamare delle vere e proprie schiavitù digitali. Ma quand’è che inizia la dipendenza?

Parole chiave: Digitale (5), INternet (12), Bruno Fasani (348), Il Fatto (439), Web (6)

La scorsa settimana ci siamo fermati a riflettere sulle nuove dipendenze, che talvolta potremmo chiamare delle vere e proprie schiavitù digitali. Ma quand’è che inizia la dipendenza? Potremmo dire che ad una prima valutazione soggettiva, essa inizia quando sentiamo che non possiamo fare a meno di un determinato strumento. Quando, ad esempio, lo stare ore su internet prende il sopravvento su altre modalità con cui cercavamo di rendere piacevole la nostra vita. Penso al bisogno di uscire di casa, di praticare qualche sport, di incontrare amici, di conversare con coloro che sono presenti in casa... Quando invece c’è un desiderio incontrollabile di verificare messaggi ricevuti, posta in arrivo, notizie aggiornate, curiosare nel lecito e nell’illecito, è allora che si finisce chiusi dentro ad una stanza, ma di fatto avviati ad un lento processo di chiusura in se stessi. Un tempo si diceva che la vecchiaia si intristisce e intristisce chi sta intorno quando si comincia a perdere di vista il valore dello stare insieme, del comunicare.
Oggi questa vecchiaia psicologica si anticipa purtroppo nei tempi di acerbe adolescenze o dentro rapporti stanchi di coppia, dove l’evasione, prima ancora che nel tradimento, si consuma in un ripiegamento progressivo su di sé.
Ma ciò che accade davanti ad un computer oggi si amplifica enormemente quando abbiamo tra le mani uno iPhone di ultima generazione, con una sollecitazione del mercato che spinge a rincorrere l’ultimo modello come bene indispensabile. Oggi è più facile comprimere i consumi alimentari che rinunciare alle ultime proposte tecnologiche. Strumenti ovviamente straordinari, che sono qui a raccontarci una genialità creativa che rasenta l’onnipotenza. Eppure è ancora nella macchina, così piccola da stare nel palmo di una mano, che si nasconde l’esca con cui potremmo diventare prede e prigionieri. Si dice che metà degli utenti non spenga mai il telefono, giorno e notte, in chiesa, dal medico o in teatro, in palestra, in auto e in Parlamento... Chi lo spegne durante la notte, lo attiva entro i primi cinque minuti dopo la sveglia e di media ogni tre minuti si apre lo schermo per vedere se ci sono novità.
È ormai evidente che le prime vittime di questo uso sconsiderato dei mezzi digitali sono le relazioni personali. È prassi vedere i ragazzi a tavola consumare sbrigativi e distratti pasti, dove l’attenzione non è né al cibo, né alle persone presenti, quasi fossero immersi in altra dimensione. Così come non è infrequente vedere gli adulti, cominciando dagli stessi genitori, comportarsi esattamente come i loro figli. Una subdola forma di dipendenza che rischia di trasferire gli effetti anche nell’ambito della resa professionale e scolastica, sulle relazioni familiari e sociali, mettendo spesso a rischio la stessa vita. Soprattutto quando l’uso in auto si trasforma in irresponsabile abuso. Richiami forti per dirci di fermarci a riflettere, prima che il mezzo tecnico diventi il padrone della nostra intelligenza e della nostra volontà.

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