Il buon samaritano insegna l’amore universale
Il secondo capitolo dell’enciclica Fratelli tutti ha come trama la parabola del buon samaritano, di cui riporta il testo di Luca. La parabola evoca tante pagine dell’Antico e del Nuovo Testamento. Evoca, ad esempio, Caino che all’appello di Dio: «Dov’è tuo fratello?», risponde stizzito: «Sono forse io il custode di mio fratello?». Ma evoca anche i comandamenti, specialmente quelli espressi dal libro dell’Esodo in riferimento alle vedove, agli orfani e agli stranieri.
Il secondo capitolo dell’enciclica Fratelli tutti ha come trama la parabola del buon samaritano, di cui riporta il testo di Luca. La parabola evoca tante pagine dell’Antico e del Nuovo Testamento. Evoca, ad esempio, Caino che all’appello di Dio: «Dov’è tuo fratello?», risponde stizzito: «Sono forse io il custode di mio fratello?». Ma evoca anche i comandamenti, specialmente quelli espressi dal libro dell’Esodo in riferimento alle vedove, agli orfani e agli stranieri. Ma soprattutto il Nuovo Testamento. Tra le varie citazioni, il Papa rilevava, ad esempio, l’invito di Gesù a imitare il Padre celeste che fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi, e a essere misericordiosi, come il Padre; o il testo della prima di Giovanni: “Chi non ama il proprio fratello che vede, come può amare Dio che non vede?”.
Papa Francesco mette a confronto l’atteggiamento del buon samaritano, che non ha esitato a donare il suo tempo per il malcapitato, rispetto invece a coloro che si disinteressano degli altri, come degli “analfabeti nell’accompagnare, curare e sostenere i più fragili”. E mette a nudo il comportamento dei due ministri del culto al tempo che vedono e passano oltre, perché non vogliono avere problemi. Il Papa osserva che chi soffre dà fastidio a chi sta facendo una vita spensierata. E questo comportamento segnala i sintomi di una società malata. Il buon samaritano invece è modello per costruire nuovi legami sociali, il benessere comune: “L’esistenza di ciascuno di noi è legata a quella degli altri: la vita non è tempo che passa, ma tempo di incontro”. In effetti, per uscire da situazioni devastate occorre essere buoni samaritani; ogni altra scelta rispecchia quella dei briganti, del levita e del sacerdote, incapaci di compassione, dominati nell’animo da una cultura dell’esclusione. Purtroppo, osserva papa Francesco, quella dell’indifferenza è una storia che si ripete. E noi ogni giorno decidiamo da che parte stare, interpellati come siamo dalle problematiche: “Ci sono due tipi di persone: quelle che si fanno carico del dolore e quelle che passano a distanza... l’incuranza sociale e politica lasciano tanti emarginati a terra sul bordo della strada”. Questa incuranza sociale e politica si può constatare persino in perone perbene, abituate però a portare la maschera e a mostrare l’etichetta.
Nel passare poi in rassegna i personaggi delle parabole, il Papa paragona quanti fanno ricorso alla violenza per meschini interessi di potere ai briganti; e quelli che si tengono a distanza dai malcapitati, disprezzando i poveri e la loro cultura, al sacerdote e al levita, per i quali quell’uomo è rimasto fuori dall’orizzonte dei loro interessi. Come se non esistesse. Al contrario, chi è religioso, addirittura ministro del culto, al dir di san Giovanni Crisostomo, deve onorare il corpo di Cristo, quello eucaristico e quello sociale, quello cioè costituito dalle persone. Il Papa usa parole forti contro l’ipocrisia di chi finge di non accorgersi delle povertà e usa il potere per interessi personali o corporativi. Non esita a denunciare la “dittatura invisibile dei veri interessi occulti”. Nel contempo esorta a sentirci corresponsabili nei processi di trasformazione, immettendoci dentro con la carica di buoni samaritani, al fine di creare una cultura dell’inclusione, dell’integrazione e del sostegno, facendoci carico delle difficoltà reali della gente. Agendo non da soli, ma insieme, come un soggetto al plurale. Senza, comunque attendersi “riconoscimenti e ringraziamenti”, mantenendo sempre vivi atteggiamenti di prossimità e solidarietà verso anziani, bambini, uomini e donne in difficoltà.
Il Papa focalizza le conseguenze morali della parabola: “Gesù non ci chiama a domandarci chi sono quelli vicino a noi, bensì a farci noi vicini, prossimi”. Gesù stesso presenta il buon samaritano come un esempio da imitare: «Va’ e anche tu fa’ lo stesso». Di conseguenza, anche nella vita pastorale questa parabola deve essere un chiaro punto di riferimento: “Perciò è importante che la catechesi e la predicazione includano in modo più diretto e chiaro il senso sociale dell’esistenza, la dimensione fraterna della spiritualità, la convinzione sull’inalienabile dignità di ogni persona e le motivazioni per amare e accogliere tutti”.
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