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Ricostruire, sì. Rifare tutto come prima, no

L’Italia è un Paese bellissimo, fragilissimo, pieno di contraddizioni. Proprio in momenti come questo ne abbiamo la conferma. Lo dice la devastazione che ha subìto l’Italia centrale. «Ricostruiremo tutto come era prima, anzi, ancora più bello», rassicura il presidente del Consiglio; «non vi lasceremo soli, ci ricorderemo di voi», fanno eco i responsabili delle altre istituzioni civili e religiose...

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L’Italia è un Paese bellissimo, fragilissimo, pieno di contraddizioni. Proprio in momenti come questo ne abbiamo la conferma. Lo dice la devastazione che ha subìto l’Italia centrale. «Ricostruiremo tutto come era prima, anzi, ancora più bello», rassicura il presidente del Consiglio; «non vi lasceremo soli, ci ricorderemo di voi», fanno eco i responsabili delle altre istituzioni civili e religiose. È come un mantra che sentiamo ogni giorno in tutte le salse, ad ogni notiziario.Ma c’è una cosa che non capisco. Ridare un tetto a chi si trova a dormire sotto le stelle, mi sembra un atto dovuto; però i legami sacrosanti con i territori non devono tenere conto anche del carattere “nervoso” di certe aree? È rispettabile la scelta di chi ha deciso di vivere e lavorare dove è nato, ma ci penserei per benino prima di edificare interi paesi dove ci sono alte probabilità che avvengano altri eventi estremi. È vero che tutto il Paese è a rischio; però insistere dove siamo quasi certi che succederà, non so se valga la pena.
Anche ricostruire le copie dei monumenti distrutti è una operazione discutibile. I nostri tesori artistici e paesaggistici che sono ridotti in macerie, furono il frutto di secoli di cultura, di storia e del lavoro di intere generazioni. Ecco perché diciamo che le pietre di certi luoghi parlano. Tornare a visitare la chiesa di San Benedetto a Norcia, rifatta, con tutte le opere pittoriche perfettamente riprodotte, non mi piace. Perché sa di plastica. Mi da la stessa emozione dell’“Italia in miniatura”. Da un punto di vista archeologico si cercherà di recuperare e conservare quanto è possibile, ma non ridaremo mai vita, per esempio, alle armonie degli inni gregoriani che sono risuonati per secoli nella cappella delle Clarisse. Capisco la reazione emotiva che porta tutti a fare in modo che le cose tornino come prima; tuttavia, a mente fredda, preferisco che nasca qualcosa di nuovo, senza dimenticare le tradizioni, capace di comunicare lo spirito del nostro tempo, piuttosto che mettere in piedi una brutta copia ad uso di incauti turisti per caso.
Temo, infine, che il tanto decantato genio italico ultimamente sia un po’ spompato, oppure che cerchi sbocchi più all’estero che non in casa nostra. Già da tempo non siamo più la culla della civiltà. E questo terremoto simbolicamente rappresenta ciò che è già avvenuto nelle nostre menti e nelle istituzioni. Storicamente dalle rovine di una civiltà può sorgerne una nuova. Forse è ancora presto. Aspettiamo che si diradi il fumo, poi vedremo il nuovo.

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