Editoriale
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Quelle vincite stravolgenti e diseducative

«Finalmente una bella notizia…» esclama il collega mostrandomi la prima pagina de L’Arena dove campeggia la foto dei gestori sorridenti della ricevitoria di Borgo Roma in cui sono stati vinti dal consueto sconosciuto 853mila euro all’Eurojackpot con una giocata da 2. E qui partono le disquisizioni più varie che potremo titolare così: «Se li avessi vinti io quei soldi realizzerei questo sogno…».

Parole chiave: Gioco d'Azzardo (2), Editoriale (407), Stefano Origano (141)

«Finalmente una bella notizia…» esclama il collega mostrandomi la prima pagina de L’Arena dove campeggia la foto dei gestori sorridenti della ricevitoria di Borgo Roma in cui sono stati vinti dal consueto sconosciuto 853mila euro all’Eurojackpot con una giocata da 2. E qui partono le disquisizioni più varie che potremo titolare così: «Se li avessi vinti io quei soldi realizzerei questo sogno…». E a dire il vero, un po’ di invida verso lo sconosciuto fortunato è naturale. Poi subentra un senso di amarezza non dovuto all’invidia, ma al fatto che la notizia messa in prima pagina diffonde un messaggio terribile: la vita cambia, si trova la felicità, si risolvono i problemi non con il lavoro e l’applicazione, non con la goccia quotidiana, con la programmazione intelligente, con le scelte impegnative; ma con un colpo di fortuna.
Come a dire che il lavoro non paga; la fedeltà ai valori del sacrificio e dell’investimento a lungo termine è una pia illusione; la regola benedettina ora et labora che ha cambiato il volto dell’Europa nel Medioevo è del tutto superata. Meglio tutto subito, una ondata di soldi senza lavoro e senza fatica e il gioco è fatto.
C’è una sottile, maligna convinzione che si fa sempre più strada: la scappatoia, l’escamotage o se preferite la via preferenziale, la conoscenza influente, la raccomandazione, la corruzione… ecco cos’è il jackpot. Di fronte ai problemi ci si convince che l’unico rimedio è aggirarli e trovare, magari aiutati dalla dea bendata, una sistemazione per se stessi in barba al prossimo. Che cosa c’è in fondo di più solipsistico di una vincita alla lotteria? Per portarla a termine bisogna diventare anonimi, sradicarsi dal contesto relazionale che potrebbe mettere a rischio il bottino (che in fondo pesa sulla coscienza come se fosse un furto, un peccato e pertanto bisogna nasconderlo). Cambiare ambiente, magari scappare all’estero, sfuggire dal fisco, far perdere le proprie tracce ad amici e parenti invidiosi, l’oblio completo e dorato. Ma quali certezze abbiamo che inizierà una vita migliore, di felicità e di pace interiore? Nessuna. Se faccio due conti, mio padre artigiano, della categoria più infima del lavoro artigianale – quella del calzolaio – ma assai apprezzato per la sua capacità di ridare vita ad oggetti considerati da gettare, per mettere insieme un cifra paragonabile ci avrebbe impiegato 25 anni. Se quei soldi li avesse vinti anche lui, magari in gioventù, forse non avrebbe aperto la sua bottega, non avrebbe incontrato quella che poi sarebbe diventata sua moglie e poi mia mamma... Una vita magari più agiata, ma solitaria e sempre a guardarsi le spalle non sapendo mai di chi potersi fidare.
Gesù un giorno disse: «Larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa. Stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano». Sì, pochi la trovano, forse meno ancora di quelli che vincono alla lotteria.

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