Quelle mani tese a chiedere l'elemosina
Di fronte ad una persona in grave difficoltà, chi non si metterebbe la mano sul cuore e forse anche in quel taccuino che ne è separato solo da una sottile fodera della giacca? Si può essere più o meno altruisti, ma nessuno rimane del tutto indifferente se riceve una richiesta di aiuto. Purché non si esageri, bene inteso. Così la questione sarebbe facilmente risolta in teoria...
Di fronte ad una persona in grave difficoltà, chi non si metterebbe la mano sul cuore e forse anche in quel taccuino che ne è separato solo da una sottile fodera della giacca? Si può essere più o meno altruisti, ma nessuno rimane del tutto indifferente se riceve una richiesta di aiuto. Purché non si esageri, bene inteso. Così la questione sarebbe facilmente risolta in teoria. Ma nel concreto, se un povero chiede soldi facendone il proprio mestiere, diventiamo un tantino sospettosi. Se poi costui al quale abbiamo dato degli spiccioli qualche volta, ce lo ritroviamo tutti i giorni ad attenderci al varco con la mano tesa, allora scatta anche la rabbia: ci sentiamo giocati da un abile furbetto.
A questo punto elaboriamo le nostre strategie difensive, dalle più infantili a quelle veramente sofisticate; per esempio cambiamo percorso anche a costo di allungare la strada, oppure ci mettiamo a correre fingendo di dover prendere al volo l’autobus che passa dall’altro lato della via, magari diventiamo improvvisamente amanti della bicicletta… qualunque cosa pur di non dovere incrociare lo sguardo implorante e dover inventare delle scuse per cavarcela.
Quando infine leggiamo sui giornali che è stata sgominata un’organizzazione malavitosa che gestiva lo sfruttamento di bambini o disabili per raccogliere elemosine, arriviamo alla conclusione che è giusto non dare niente per non alimentare l’illecito sfruttamento. Molto meglio devolvere l’8 o il 5 per mille a quelle istituzioni che si occupano dei poveri in modo organizzato e competente, anche perché non ci costa niente.
E allora la nostra mano sul cuore dove va a finire? E la tanto invocata misericordia con le relative opere corporali e spirituali che siamo costretti a reimparare grazie a papa Francesco, dove le mettiamo?
Forse la nostra è ancora quel tipo di carità che facciamo perché costretti da una specie di obbligo legato all’immagine di noi stessi. Non vorremmo dare niente per mille ragioni, ma siccome ci sembra di sfigurare (davanti a chi, non si sa) allora ci sembra che il male minore sia cacciare la mano in tasca e pagare una specie di pedaggio per mantenere pulita e rispettabile la nostra immagine e poter quindi oltrepassare quella “barriera” a testa alta. Questo lo sanno bene anche i nostri specialisti dell’accattonaggio che scelgono sempre i luoghi più imbarazzanti per noi (davanti alla chiesa, ai semafori, vicino ai carrelli dei supermercati) così per vari motivi siamo costretti a fermarci e allora il gioco è fatto, a loro vantaggio. Se così fosse, meglio non farla la carità in questo modo. Tra l’altro nella nostra società ripiegata sull’individuo chiuso in se stesso nessuno verrà mai a rimproverarci nulla. Se invece siamo disposti a metterci in gioco su questa frontiera, meglio lasciar perdere le false questioni e soffermarci su chi abbiamo di fronte: è una persona e come tale è importante per noi. Il suo bene o il suo male sono anche il nostro. La sua aspirazione a una vita bella vale quanto la nostra. Dare o meno una moneta ai questuanti è un falso problema, ognuno può fare come crede. Se io dovessi scegliere l’opera di misericordia più bella che ho visto, direi quando papa Francesco ha aperto gratuitamente i Musei vaticani ai clochard di Roma perché potessero ammirare la Cappella Sistina, anche se non saprei in quale categoria delle opere di misericordia classificarla.