Parole nuove
Sembrava che l’inizio della fase 2 fosse destinato a segnare l’avvento di una nuova era, da festeggiare con lo spumante tenuto in frigo per le grandi occasioni...
Sembrava che l’inizio della fase 2 fosse destinato a segnare l’avvento di una nuova era, da festeggiare con lo spumante tenuto in frigo per le grandi occasioni. In realtà, invece di togliere la gabbietta alla bottiglia, i più si sono limitati ad incrociare le dita e a sperare in bene, convinti che questo step verso una nuova normalità – come dicono quelli bravi – sarà decisivo e più difficile rispetto alla fase 1, quella del “chiusi in casa, zitti e mosca”. Occorrerà continuare ad avere un grande senso di responsabilità nel rispetto delle nuove e meno rigide misure di contenimento della pandemia, nell’acquisita consapevolezza che dal comportamento di ognuno di noi dipende non solo la nostra salute ma anche quella degli altri. Insomma: facciamo i bravi... come i coreani.
Ma cosa ci ha lasciato la fase 1? Anzitutto la coscienza della nostra fragilità e un senso di incertezza dinanzi a qualcosa di ignoto ma i cui effetti si sono rivelati ben tangibili nella loro drammaticità. Quindi la relativizzazione di agende e programmi che ritenevamo improrogabili. E anche di abitudini consolidate. Inoltre una serie di parole, espressioni e acronimi divenuti purtroppo familiari. In primis Coronavirus o Sars-CoV-2 che dir si voglia: insomma, il responsabile della pandemia Covid-19, mannaggia a lui. Quindi lockdown (confinamento), droplet (gocciolina, per esempio quella dello starnuto, che va contenuta con la mascherina), delivery (consegna a domicilio), smart working (lavoro agile, in pratica: telelavoro), conference call (videochiamata con più persone), task force (comitato di esperti. Quante e quanti siano non lo sa nessuno). E poi, venendo alle sigle, Dpcm (decreto del presidente del Consiglio dei ministri), Faq (domande poste frequentemente sulle misure del Governo, assurte in questi mesi a nuova fonte del diritto), Dpi (dispositivi di protezione individuale, quali mascherine e guanti), Rx (dove x è un numero e definisce l’indice di contagio). E, ancora, tamponi, test sierologici, sanificazione, Comitato tecnico-scientifico, assembramento, distanziamento sociale (meglio sarebbe dire: fisico), autodichiarazione, quarantena, didattica a distanza, termoscanner, picco, plateau... Per non parlare dei congiunti, termine che ha richiesto una sorta di invocata interpretazione autentica. Ma altre espressioni vorrei tornare a sentire – e veder praticate – più spesso: bene comune, coesione, condivisione. Perché assai fondato è il timore che la diseguaglianza “sarà la prossima pandemia” (Charlie Cooper).
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