Editoriale
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Non abituiamoci all’orrore

Volevano farci credere che le guerre nel terzo millennio sarebbero state combattute con sofisticate tecnologie, a suon di attacchi informatici, mentre gli ordigni scagliati da droni avrebbero colpito con assoluta precisione solo obiettivi sensibili, salvaguardando così la popolazione civile...

Parole chiave: Editoriale (407), Alberto Margoni (64)

Volevano farci credere che le guerre nel terzo millennio sarebbero state combattute con sofisticate tecnologie, a suon di attacchi informatici, mentre gli ordigni scagliati da droni avrebbero colpito con assoluta precisione solo obiettivi sensibili, salvaguardando così la popolazione civile.
Quanto accaduto a Bucha e mostrato da immagini sconcertanti (e sono state pubblicate solo quelle meno crude) ci rivela che in realtà non è così e la guerra combattuta sul suolo ucraino è ancora condotta con modalità efferate. Certo, la tecnologia non manca. Per esempio quella dei satelliti che hanno mostrato come una trincea scavata dai russi davanti alla chiesa di Sant’Andrea sia diventata, al momento della loro ritirata, una fossa comune nella quale sono stati sepolti decine di cadaveri avvolti in sacchi neri. Civili rimasti vittime non di missili, bombe o colpi di artiglieria, ma di esecuzioni avvenute per strada e nelle case. Corpi rivenuti con le mani legate dietro la schiena, talvolta intere famiglie sterminate, con genitori e figli ammassati gli uni sugli altri e poi carbonizzati, in un orrore senza fine al quale non ci si deve abituare.
Per non parlare dei crateri lungo le strade, delle auto distrutte, dei mezzi blindati abbandonati, di quelle che fino a poche settimane fa erano villette e ora mostrano le ferite del conflitto. Immagini spettrali di una guerra criminale.
Ma la tecnologia è stata utilizzata pure dalla propaganda russa che – servendosi di un falso sito di fact-checking, cioè di verifica dei fatti, quindi un autentico controsenso – avrebbe voluto far credere che quelli lungo le strade non erano morti, ma attori professionisti impegnati in un macabro recital. Affermazioni prontamente confutate. Si tratta comunque di una propaganda che, diffusa artatamente sui social, ha molti seguaci anche nel nostro Paese. Del resto, si sa, “in guerra la verità è la prima vittima”. Non lo diceva un esperto massmediologo, ma Eschilo, drammaturgo dell’antica Grecia, vissuto tra il sesto e il quinto secolo avanti Cristo. Meritorio è dunque il lavoro di giornalisti e operatori televisivi che rischiano la vita ogni giorno per documentare sul campo ciò che accade. Sperando che cessino presto le ostilità e si torni a parlare solo di pace.

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