Il razzismo che è in noi e fra noi
L’ignoranza non c’entra e spesso nemmeno la comprensibile paura di chi, magari anziano, debole e rinchiuso nel proprio mondo, fatica ad accettare la persona sconosciuta e che di diverso ha solo il colore della pelle o la fede religiosa.
L’ignoranza non c’entra e spesso nemmeno la comprensibile paura di chi, magari anziano, debole e rinchiuso nel proprio mondo, fatica ad accettare la persona sconosciuta e che di diverso ha solo il colore della pelle o la fede religiosa. Ma quando cattiveria, protervia e razzismo si mescolano insieme, ne vien fuori qualcosa di abominevole.
Infatti scorrendo le cronache non passa giorno senza che qualche ignobile episodio di razzismo faccia capolino. Dalla quarantenne che in un supermercato del Varesotto non accettava che alle casse ci fosse Emanuel, un commesso nordafricano; a Judith, ragazza originaria di Haiti che recatasi al colloquio per un lavoro di cameriera in un ristorante a Venezia si è sentita rispondere: «Ah, sei nera? Ma io non voglio persone di colore nel mio ristorante; la cosa potrebbe fare schifo ai miei clienti». E per fortuna che ha premesso: «Scusa, non è per cattiveria», altrimenti ci sarebbe venuto da sospettare che avrebbe usato il lanciafiamme o un kalashnikov. Dalla donna (scusate, non riesco a chiamarla signora) italiana di circa 40 anni che su un pullman a lunga percorrenza ha preteso che Mamadou, giovane senegalese, lasciasse libero il posto indicatogli dall’autista accanto al suo, per spostarsi in fondo all’automezzo in quanto uomo di colore e di un’altra religione; all’altra esponente di quello che un tempo si definiva “il gentil sesso” rifiutatasi su un Frecciarossa di sedere vicino a una ragazza di origini indiane, da lei spregevolmente etichettata come «una negra», non prima di averle chiesto – non si sa in virtù di quale autorità – di mostrarle il biglietto.
Insomma, nonostante qualcuno si ostini a negarlo, anche in Italia c’è un razzismo rimontante che diventa ancora più becero e rivoltante in quanto assume sempre più i tratti di un diritto da rivendicare, da parte di chi, avendo pagato, pretenderebbe di non avere accanto chi non gli garba. E questo comportamento escludente inquieta, fa paura, tanto più se espresso – come in questi casi – da persone di mezza età che si presume abbiano avuto almeno l’istruzione obbligatoria, e quindi non si può tirare in ballo l’ignoranza.
Il razzismo è tutt’altro che un diritto da rivendicare o un’opinione come un’altra da poter esprimere liberamente, bensì è una pianta infestante da estirpare perché insensata sotto qualsiasi punto di vista, repellente in una società che voglia dirsi civile.
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