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Gi(u)ramenti

L’espressione è di quelle che ti lasciano senza fiato. Proprio come dopo un pugno in pancia e hai bisogno di un momento per riprendere il respiro.
“Io sono cattolico ma ho giurato sulla Costituzione e non sul Vangelo”.
Che cosa significa, signor presidente? Che il Vangelo non è più all’origine dell’impegno dei cattolici in politica? Che in politica non ci sono più cattolici?

Parole chiave: Costituzione (2), Editoriale (407), Renzo Beghini (62), Vangelo (419)

L’espressione è di quelle che ti lasciano senza fiato. Proprio come dopo un pugno in pancia e hai bisogno di un momento per riprendere il respiro.
“Io sono cattolico ma ho giurato sulla Costituzione e non sul Vangelo”.
Che cosa significa, signor presidente? Che il Vangelo non è più all’origine dell’impegno dei cattolici in politica? Che in politica non ci sono più cattolici?
Conosco cristiani che pagano le tasse, che rispettano le leggi, che amministrano la “cosa pubblica”, che fanno servizi gratuiti e senza interesse per il bene di tutti. E lo fanno proprio per fedeltà al Vangelo. Per nient’altro. Se questo non fosse l’elemento fondativo, il “principio attivo” che li spinge, si prenderebbero cura esclusivamente dei loro interessi privati.
“Ho giurato sulla Costituzione e non sul Vangelo”. Che cosa significa, signor presidente? L’amico Barack Obama ha giurato sulla Bibbia e, come lui, i presidenti Bill Clinton, Jimmy Carter e il cattolico John F. Kennedy.
E poi presidente, perché ha tirato in ballo il Vangelo? Era proprio necessario contrapporre e mettere su un piano conflittuale Costituzione e Vangelo?
Come ha scritto il direttore di Avvenire, “sul Vangelo non si giura, ma lo si vive. E la Costituzione non assolve dagli errori, anzi, li sottolinea”.
I cristiani – anche quelli adulti – custodiscono il Vangelo come una perla preziosa, senza contrapporlo ad alcunché. E senza usarlo come una clava contro nessuno perché non è nella sua natura. Il Vangelo non è di parte, signor presidente. E non è un limite da cui affrancarsi per poter garantire un impegno pubblico o non discriminatorio. I cattolici del nostro Paese non si riconoscono in questa visione.
È decisamente fuori luogo sentire che la propria fede è un ostacolo e un impedimento per il proprio ufficio. Se per impegnarmi in politica dovessi rinunciare al Vangelo, non avrei dubbi su cosa scegliere. Ma mi creda, signor presidente, non si tratta di misurare la fede personale o se uno è più cattolico di un altro. È una questione di identità, di dignità e di credibilità. Certo, se i cristiani si vendicano, non sono coerenti; ma se mettono da parte il Vangelo, non hanno capito niente.
Per la sapienza cristiana non esiste alcuna possibilità di rinchiudere la fede nell’ambito privato. Non è possibile contenere il Vangelo nelle intenzioni o nelle ispirazioni. Questa separazione tra due ordini morali, uno privato e l’altro pubblico, non c’è. Non si dà. Non c’è decisione fondamentale senza quella particolare. La pratica è un elemento essenziale della professione di fede che è pratica tutta quanta dall’inizio alla fine.
Questa infelice battuta pone alla fine la questione se si può essere cattolici in politica. Dall’Opera dei Congressi in poi, la storia e il contributo dei cattolici al bene del Paese hanno risposto egregiamente. E quelli di oggi?

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