Editoriale
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Episodi di morte esempi di vita

La tragica storia del giovane africano Càmara Mabadu, morto di tubercolosi, è stata raccontata dai giornali e dalle televisioni locali.
Piccolo orfano fuggito dal suo villaggio in Guinea, finito schiavo nelle miniere d’oro del Kenya, di lì scappato di nuovo a piedi in mezzo al deserto e infine arrivato a Verona, non si sa come, o meglio, si sa benissimo, ma non si dice...

Parole chiave: Editoriale (407), Càmara Mabadu (1), Stefano Origano (141), Morte (13)

La tragica storia del giovane africano Càmara Mabadu, morto di tubercolosi, è stata raccontata dai giornali e dalle televisioni locali.
Piccolo orfano fuggito dal suo villaggio in Guinea, finito schiavo nelle miniere d’oro del Kenya, di lì scappato di nuovo a piedi in mezzo al deserto e infine arrivato a Verona, non si sa come, o meglio, si sa benissimo, ma non si dice. Quando succede sotto i nostri occhi un fatto così, la commozione è forte e anche l’indignazione; purtroppo quando accade per migliaia di altri giovani come lui, ma lontano da noi, allora la cosa tocca molto meno.
Mabadu non ha avuto tempo per andare a scuola ad imparare a leggere e scrivere, ma ha frequentato la scuola della strada dove o sei promosso e vivi o sei bocciato e muori. Purtroppo l’“esame di Stato” dove si è presentato come “privatista analfabeta poliglotta” – parlava sei lingue: inglese, francese più 4 idiomi africani e anche in italiano incominciava a cavarsela –  non l’ha superato e per lui non ci sono state altre occasioni. Inutile dire che la bocciatura all’esame non di Stato, ma di umanità e civiltà in questo caso, non l’abbiamo superato neppure noi, ma le conseguenze non sono le stesse. Per noi una giustificazione si trova sempre.  
Riporto le parole di Elena Barumerli, volontaria delle Ronda della carità che gli è stata vicina durante il ricovero in ospedale: «Come possiamo rimanere indifferenti di fronte alla morte di un ragazzo che ha combattuto ogni giorno per sperare in una vita migliore? Di fronte al nulla della morte, per trovare un senso a questa vita non posso che rispondere: con tutto. Tutto il mio tempo, tutti i miei giorni, tutta la mia vita per gli altri, per i poveri. Mi chiedo quanto siamo ciechi ed egoisti mentre mangiamo con le gambe sotto il tavolo conversando di quanto sia rotondo il retrogusto dell’Amarone mentre alla tv, in sottofondo, passa inosservata l’ennesima notizia di un barcone che è affondato nel Mediterraneo... Di fronte a questa morte ingiusta vorrei urlare al mondo: apri gli occhi! La bontà porta il bene e il bene è amore. E tu, che cosa aspetti a scommettere la tua vita? Quando la smetterai di raccontarti bugie?».
«Vorrei imparare a leggere e scrivere» confidava ad Elena dal letto dell’ospedale. Sicuramente anche noi dovremmo ritornare sui banchi di scuola per imparare a leggere con occhi nuovi il fenomeno migratorio e a scrivere qualche pagina diversa per tanti altri giovani Càmara prima che muoiano in modo così indegno.

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