Editoriale
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Cambiamenti

È più facile cambiare il modo di pensare le cose che non il modo di viverle. Ovvero è più facile piegare il pensiero allo stile di vita al quale siamo abituati (soprattutto chi vive alla maniera borghese) piuttosto che adeguarlo a quanto l’intelligenza suggerirebbe visti i tempi...

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È più facile cambiare il modo di pensare le cose che non il modo di viverle. Ovvero è più facile piegare il pensiero allo stile di vita al quale siamo abituati (soprattutto chi vive alla maniera borghese) piuttosto che adeguarlo a quanto l’intelligenza suggerirebbe visti i tempi. La voglia di cambiamento in genere è più accesa nelle giovani generazioni, ma a patto che le prospettive siano di stare meglio. Ora invece sembra che il cambiamento – e sarà inarrestabile anche se a piccoli passi – sia avviato verso uno stare meno bene secondo gli standard attuali del benessere.
Convincere una persona che l’aspetta una vita meno comoda, ma più bella e affascinante perché rispettosa dei diritti degli altri e degli equilibri naturali, non è una cosa facile. Sarebbe già molto far capire che in realtà ogni giorno avviene un passettino in avanti e se non siamo noi a governarlo, saranno altri che, in cambio di qualche bene o servizio – nel lessico economico si dicono commodity –, imporranno la propria legge.
Anche la comunità diocesana si sta impegnando in un progetto denominato “Andrà tutto nuovo”, ma ci vorrà del tempo e il realismo di accettare che le persone possano anche rimanere sulle proprie posizioni perché spaventate, disorientate e confuse. Alla base di una resistenza così difficile da scardinare c’è la perdita di un orizzonte comune. Se io voglio fare da solo, magari mi ci butto a capofitto come un ciclista che tenta la fuga solitaria a 150 chilometri dal traguardo; ma alla fine il gruppo mi raggiunge e mi lascia indietro...
Correre in gruppo non è solo stare uno accanto all’altro, ma avere un caposquadra, una strategia e compiti chiari per ciascuno. Per un gregario vincere non sarà quasi mai tagliare per primo il traguardo, ma lanciare in volata il suo capitano. Per un capitano, vincere significa dare la pedalata giusta nel momento topico della gara dopo aver pedalato insieme a tutta la squadra, con l’intelligenza di saper dosare le forze proprie e quelle altrui.
Un grillo parlante che dica che è tutto sbagliato, che bisogna rifare il mondo da zero, mi fa venire solo voglia di tirargli qualcosa addosso. Un capitano che aiuti a pensare più in grande, che sappia ascoltare e farsi carico dei miei dubbi, potrebbe anche convincermi a rinunciare a una vittoria di tappa personale per vincere insieme tutto il giro, cioè la sfida del cambiamento.

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