Un cuore che si umilia è aperto all’amore di Dio
Luca 18,9-14
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
“L’intima presunzione di essere giusti”: dopo la riflessione della scorsa settimana che invitava a perseverare nella preghiera, l’evangelista Luca ferma la nostra riflessione su questa frase, per prendere coscienza che non solo nella preghiera, ma anche nella misura del nostro pensiero più intimo si cela un cuore consapevole della propria “insufficienza” e della grazia del Padre. Non basta pregare, è necessario, per incontrare Dio e i fratelli, essere coscienti che, non grazie alle nostre capacità, ma per la misericordia di Dio, è possibile raggiungere la salvezza. È uno spunto di riflessione importante che condiziona tutto il nostro agire, che ci pone nei confronti della realtà con un atteggiamento umile, perché consapevole del proprio limite, del bisogno di essere accolti e perdonati. “L’intima presunzione di non essere giusti” dovrebbe così essere alla base del nostro agire quotidiano, per donarci la gioia di vivere staccati dal bisogno di successo. Questo pensiero ci aiuta ad incontrare i fratelli con cuore aperto ed accogliente, e con il desiderio di vedere in loro il volto di Cristo. In particolare penso ai tanti fratelli che soffrono, che si sentono umiliati dalla vita, che vivono situazioni di sofferenza, che hanno perso la speranza, la gioia di esistere. Mi vengono in mente le parole di papa Francesco quando si è soffermato, nel luglio dello scorso anno, con i detenuti di Palmasola, nel carcere più pericoloso dell’America Latina: «Chi c’è davanti a voi? Potreste domandarvi. Vorrei rispondere alla domanda con una certezza della mia vita, con una certezza che mi ha segnato per sempre. Quello che sta davanti a voi è un uomo perdonato. Un uomo che è stato ed è salvato dai suoi molti peccati. Ed è così che mi presento. Non ho molto da darvi o offrirvi, ma quello che ho e quello che amo, sì, voglio darvelo, voglio condividerlo: Gesù Cristo, la misericordia del Padre».
Forse ci scandalizziamo di fronte all’atteggiamento del fariseo, senza renderci conto che tante volte è anche il nostro: pensiamo a tutte quelle circostanze in cui ci permettiamo di essere giudici, in cui riteniamo di essere nel giusto, nelle occasioni in cui rifiutiamo di incontrare, di condividere, di ascoltare, di dialogare; tutte quelle volte che ci sentiamo forti nel nostro agire sicuro, che pensiamo l’altro non all’altezza della situazione, che lo riteniamo insufficiente. Il Signore ci chiede di sentirci “poveri” e bisognosi, di vivere con umiltà, di incontrare il Suo amore con un cuore riconoscente perché conscio del proprio limite, del proprio peccato. Solo così verrà la salvezza, e solo così ci sarà concesso di fare vera esperienza di carità e condivisione. Un cuore che si umilia, un cuore che sente il proprio limite, è un cuore aperto all’amore del Padre, e un cuore vicino a quello del Padre. Il pubblicano, nella sua preghiera, è un esempio per tutti noi: egli, consapevole della sua imperfezione, riconosce la giustizia salvatrice di Dio. E per questo il Signore lo giustifica ed egli ritorna a casa con un intimo senso di leggerezza perché, come recitano le parole della prima lettura di questa trentesima domenica del tempo ordinario, “La preghiera del povero attraversa le nubi né si quieta finché non sia arrivata” (Sir 35,16). Dio è sempre dalla parte del povero; Egli è parziale, ma la sua parzialità è somma giustizia.
La preghiera del fariseo è ineccepibile nella sua formalità; è un modello dell’uomo di religione. Quella del pubblicano, esattore delle tasse, è invece molto distante dal modello dell’uomo corretto religioso, perché conscio della sua povertà e del suo peccato. Il pubblicano chiede il perdono, lo spera ed è aperto alla misericordia. Ed è in questo che avviene il ribaltamento. La salvezza non viene da un formalismo religioso sterile e presuntuoso, ma piuttosto dalla fede e dall’azione gratuita di Dio, che ascolta la preghiera del povero che chiede umilmente perdono: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. È per tutti noi una riflessione importante, che ci chiama ad un serio esame di coscienza di fronte ad una società che stenta a superare un atteggiamento di diffidenza nei confronti di chi è nel bisogno, e si arrocca dietro un certo formalismo sterile e infruttuoso.