Commento al Vangelo domenicale
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Un bambino rompe la logica autoreferenziale dei Dodici

Marco 9,30-37

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

Un bambino rompe la logica autoreferenziale dei Dodici

Il brano evangelico di questa domenica appartiene alla parte centrale dell’opera di Marco e segna un punto di svolta all’interno della narrazione. L’importanza che la questione dell’identità di Gesù riveste per l’autore del secondo vangelo si può dedurre anche da una semplice analisi testuale: già nei primi versetti Marco sgombra il campo da qualsiasi dubbio o domanda da parte del lettore dichiarando che quello che si sta accingendo a leggere è l’“inizio del Vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio” (Mc 1,1). Giunti all’ottavo capitolo, di nuovo, viene riportata una confessione rispetto alla persona di Gesù fatta da un discepolo, Pietro, che verrà poi ripetuta sotto la croce da un uomo pagano, centurione romano che alla vista dell’agonia e della morte del Nazareno dirà: «Veramente quest’uomo era Figlio di Dio» (Mc 15,39). Quello di questa domenica, quindi, è un episodio decisivo all’interno delle vicende del ministero di Gesù.
Il testo inizia con il Maestro che, assieme ai suoi, si muove dalla Galilea verso le sorgenti del fiume Giordano, a nord, nella zona di Cesarea di Filippo. Durante questo spostamento Egli domanda ai discepoli che cosa pensa la folla in merito alla sua identità. Per una volta non sono i Dodici a porre quesiti e a chiedere, ma è il Nazareno ed è particolarmente significativa la circostanza per cui il dialogo che prende avvio si svolge nel corso del cammino, quasi a volere suggerire che la conoscenza autentica di Gesù è possibile solo facendo strada con Lui, condividendo la quotidianità, non solamente ripetendo alcune frasi. La gente ha idee confuse: per qualcuno potrebbe essere Giovanni Battista tornato in vita, per altri Elia (il profeta che, secondo le credenze del tempo, avrebbe dovuto preparare la strada al vero Messia), per altri ancora un profeta. Sembra che la folla avverta che si è giunti ad un momento di cambiamento, ma nonostante questo pare non esserci nessuno capace di andare oltre e identificare quel rabbi con il Cristo, inviato da Dio.
A questo punto Gesù interroga i suoi discepoli e rivolge loro la domanda: «E voi, chi dite che io sia?» (Mc 8,29). Si tratta di un quesito fondamentale che interpella ciascuno che, ieri come oggi, vuole confrontarsi seriamente in merito alla vicenda di Gesù di Nazaret. Per certi aspetti questa è una domanda alla quale difficilmente si può dare una risposta esaustiva che non rimanga solo sul piano concettuale. Chiunque voglia dirsi cristiano è chiamato a confrontarsi con il suddetto interrogativo lungo tutto il suo percorso di fede, perché la conoscenza del Nazareno apre di continuo nuove domande e non garantisce risposte facili ed esaustive. Pietro risponde al Maestro in maniera asciutta e completa: «Tu sei il Cristo» (Mc 8,29), riconoscendo che di fronte a lui c’è davvero l’Unto del Signore. Può stupire, quindi, che a tale risposta corretta faccia seguito la richiesta di mantenere il silenzio rispetto a ciò. Uno dei motivi che conducono alla necessità del riserbo, però, si comprende proseguendo la lettura.
Dopo la confessione di Pietro, infatti, è scritto che Gesù inizia a rivelare che nel suo futuro ci saranno sofferenze, morte violenta e risurrezione. Di tutto questo parla senza indugi, il testo letteralmente dice “con parresia”, ossia apertamente e con grande franchezza. Ed è per questo che Pietro lo prende in disparte e lo rimprovera. Il discepolo che ha appena proferito la più grande verità circa la persona del Nazareno mette così in evidenza che la sua è una comprensione parziale, che mantiene in cuor suo la convinzione che il Messia debba essere un uomo forte, vincente, capace di imporsi. Il discepolo non concepisce l’idea che Gesù possa essere il Cristo vivendo nella mitezza, nell’obbedienza libera alla volontà di Dio e facendosi solidale a quanti soffrono o vengono esclusi.
Le parole che gli rivolge in risposta il Nazareno possono apparire molto dure, soprattutto nel riferimento al nome Satana. Il Maestro, in realtà, non intende allontanare da sé Pietro ma esortarlo a riportarsi nella posizione che gli spetta, ossia dietro a Lui. Mettersi alla sequela significa accettare che qualcun altro cammini per primo e scandisca il ritmo dell’andare, significa scegliere di percorrere una strada aperta da colui che sta davanti a tutti e nel quale si ripone tanta fiducia da provare a rendere il proprio passo sempre più simile al suo.
Per essere discepoli non basta solamente professare la fede in Cristo, ma è necessario essere disponibili a seguire il cammino tracciato dal Maestro, accogliendo la sua sorte, mantenendo costantemente presente la domanda: «Ma voi, chi dite che io sia?».

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