Popolo di Dio e gregge del suo pascolo
Giovanni 10,27-30
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparlem dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
La quarta domenica di Pasqua ritorna ogni anno come giornata del Buon Pastore e del tema della vocazione, in particolare di quella sacerdotale e religiosa. In ognuno dei tre anni in cui si articola il lezionario festivo, al Vangelo si proclama sempre un brano tratto dal capitolo 10 di Giovanni, testo ambientato globalmente all’interno della festa giudaica della dedicazione del tempio di Gerusalemme.
La parabola del pastore si muove su uno sfondo molto familiare alla vita palestinese. La sera i pastori conducono il gregge in un recinto per meglio proteggerlo dai lupi e dai ladri. Un recinto serve generalmente a diversi greggi. Il mattino ciascun pastore grida il suo inconfondibile richiamo e le pecore lo seguono senza esitazione. Ma al di là della scena di vita quotidiana a cui Gesù fa riferimento, vi è un tema biblico assai rilevante: l’immagine del pastore buono che ha un legame intimo e diretto con le pecore ed è pronto a dare liberamente la vita per difenderle e salvarle da ogni pericolo.
Seguendo il suggerimento della cultura dell’antica civiltà pastorale, i testi della Bibbia usano le parole pastore, agnello, pecora, gregge con un significato positivo, affettuoso, confidenziale, umanissimo. L’agnello è il simbolo dell’elezione sacrificale, la pecora è simbolo della mansuetudine, il pastore è simbolo del sentimento di protezione, il gregge è simbolo della coesione di gruppo. Nei testi dell’Antico Testamento che presentano la relazione tra il pastore e le pecore si sottolineano temi importanti: la grandezza dell’amore di Dio, la scelta del popolo di Israele, la conoscenza reciproca, la comunanza di vita, la preoccupazione di Dio per il suo popolo, la condanna dei falsi pastori, l’impegno da parte di Dio di condurre il suo popolo dall’esilio e di radunarlo dopo la dispersione.
Nel breve brano che oggi è presentato dalla liturgia il rapporto tra il Cristo-pastore e le pecore della sua Chiesa è definito da una serie di verbi ed espressioni caratteristici: ascoltare, conoscere, seguire, dare la vita eterna, non perdere, non rapire. Gesù evidenzia che Lui conosce le pecore a una a una, e che le sue pecore lo conoscono. È una conoscenza piena di amore e richiama la conoscenza reciproca che hanno uno dell’altro il Padre e il Figlio. Non sono le pecore che scelgono il Pastore, ma è il pastore che le sceglie, le prende in amicizia, le custodisce, le difende dai pericoli e le fa entrare nella sua intimità. Le pecore sono invitate a corrispondere all’amore totale del loro Pastore. L’amore di Gesù, Buon Pastore, raggiunge il suo punto culminante nella sua morte in croce. La sua morte realizza in pienezza ciò che il Padre voleva far conoscere: il suo amore infinito per tutta l’umanità.
La parabola evangelica del pastore e delle pecore raffigura in modo incisivo l’unione stretta tra il Pastore divino e il popolo di Dio. Quest’ultimo deve offrire al Pastore un’adesione profonda, espressa attraverso tre verbi che nel linguaggio biblico sono di forte intensità, perché appartengono al vocabolario della fede: ascoltare, conoscere, seguire. Si tratta di un legame di grande intimità, di amore puro, di abbandono gioioso al Signore, come il gregge segue fiduciosamente e senza esitazione il pastore lungo le strade assolate del deserto verso le zone di pascolo e verso le sorgenti di acqua fresca.
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