La dolcezza dello Spirito è destinata a tutti i popoli
Giovanni 20,19-23
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Gerusalemme brulicava di “Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo”, ci ricorda la prima lettura dagli Atti degli Apostoli. Erano convenuti da ogni dove per celebrare la Pentecoste ebraica, antica festa agreste della mietitura (cfr. Es 23,16), a cui si assocerà più tardi il ricordo del dono della Legge sul monte Sinai (cfr. Es 19-20). Il tempio in tutto il suo splendore sembrava stagliarsi verso il cielo, svelando con le sue solenni liturgie la magnificenza e la solidità di una religione ancorata alla Legge dell’Altissimo. Si respirava un senso di compiutezza e di stabilità in quella festa del “cinquantesimo giorno” dopo Pasqua.
L’evangelista Luca, autore del libro degli Atti, ci conduce invece in una dimora dimessa dove si erano raccolti gli Undici, barricandosi in un cenacolo per timore delle autorità del popolo. «Che ne sarà di noi?» era probabilmente l’interrogativo che serpeggiava nei loro cuori mentre attendevano ancora confusi e dubbiosi l’avverarsi della promessa del Maestro, di donare loro lo Spirito Santo. In quell’umile cenacolo accade l’inverosimile: “Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso e riempì tutta la casa dove stavano”. Gli antichi prodigi del Sinai (cfr. Es 19,16-19) si ripetono mentre lo Spirito scende sotto forma di “lingue come di fuoco, che si dividevano e si posavano su ciascuno di loro”. Dio scrive nei loro cuori col suo dito infuocato la nuova Legge dell’amore. Si sentono in un crogiolo di rigenerazione: i dubbi cedono il passo alla certezza di essere inondati da un’Energia divina che tutto rinnova; le nubi plumbee della paura si diradano, cacciate via dal vento dello Spirito, per far trionfare il sole del coraggio e della franchezza nell’annunciare con parole nuove “le grandi opere di Dio”.
Parlano la lingua di Dio che come un’acqua salubre scorre di bocca in bocca e penetra in ogni cuore: è il linguaggio dell’amore, che supera ogni barriera di incomunicabilità; disinnesca dalla parola “straniero” le cariche della diffidenza e dell’odio; rende inoffensiva l’arma micidiale del giudizio, togliendole le munizioni dell’arroganza e della condanna.
Si è posato su di loro lo Spirito Santo. Come all’inizio del tempo aleggiava sulle acque (cfr. Gen 1,2), nelle quali spargeva il seme della vita, così ora li ricrea, trasformando quel gruppo di pavidi in uomini nuovi. Finalmente sanno che ne sarà di loro: annunceranno con coraggio a tutta Gerusalemme che Dio ha risuscitato Gesù, il crocifisso (cfr. At 4,10); non temeranno di testimoniare che è il Signore, il Messia e che “in nessun altro c’è salvezza” (At 4,12).
San Paolo nella seconda lettura, scrivendo ai Corinzi, afferma: “nessuno può dire: «Gesù è il Signore!» se non sotto l’azione dello Spirito Santo”. È necessaria l’effusione dello Spirito per riconoscere in Gesù di Nazareth il Dio incarnato che, pur di farsi prossimo a ogni uomo, contrae la sua eternità e onnipotenza nella contingenza della nostra storia e nella fragilità della nostra carne.
Questo stesso Spirito sparge i suoi doni che come manciate abbondanti di semente scelta, attecchiscono, crescono e portano frutto “per il bene comune”. La Chiesa, che proprio a Pentecoste ha iniziato a muovere i primi passi, continua anche oggi la sua missione grazie alla presenza dello Spirito Santo e sussiste mediante i suoi doni. Lo Spirito la conduce a Dio e la illumina, perché come il profeta Elia (cfr. 1 Re 19,11-13) possa riconoscere la sua presenza nella brezza leggera, che l’accarezza, la rigenera e le dona la forza di resistere ai venti impetuosi delle seduzioni terrene.
Parlando a un gruppo di preadolescenti delle meraviglie che lo Spirito compie nella Comunità cristiana, portavo come esempio il comportamento fraterno dei primi cristiani e ricordavo che i pagani, osservandoli, esclamavano con ammirazione: «Guardate come si amano!». Qualche giorno dopo uno di quei ragazzi mi si accostò e, malcelando una certa delusione, mi disse: «Ho raccontato a casa quanto ci hai spiegato, ma mio papà mi ha detto che la Chiesa è un’altra cosa…».
Siamo noi cristiani, ingabbiati nelle nostre paure, che facciamo diventare la Chiesa “un’altra cosa”; è la nostra timidezza, la nostra assuefazione alle “cose sante” e le nostre infedeltà che sfigurano il volto della Comunità cristiana; sono i nostri rigidismi privi di umanità e di misericordia che la trasformano da madre in matrigna. Non solo a Pentecoste, ma quotidianamente dovremmo invocare i doni dello Spirito Santo, per ricordarci che la splendida avventura, iniziata in un cenacolo a Gerusalemme duemila anni fa, prosegue anche ai nostri giorni. Quello stesso Fuoco d’amore continua a scendere su di noi e attraverso di noi vuole incendiare il mondo.