Gesù si fa vicino a chi soffre e gli offre sollievo
Marco 1,40-45
In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».
Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.
Il vangelo di questa sesta domenica del tempo ordinario inizia in maniera inaspettata e improvvisa, senza indicazioni di tempo o di luogo. Marco prosegue nella narrazione dell’ampliarsi della cerchia che segue Gesù: si passa, infatti, dalle prime due coppie di fratelli (Mc 1,16-20), alla folla che si presenta davanti alla porta della casa (Mc 1,33), per giungere ad una quantità di gente tale da precludere l’accesso in città al Nazareno (Mc 1,45).
L’incontro con il lebbroso sembra un evento piuttosto estemporaneo: l’uomo è affetto da un morbo particolarmente ripugnante, che nell’orizzonte giudaico era ritenuto segno del castigo di Dio. Da tale malattia vengono colpiti per i loro peccati Miriam, sorella di Mosè (Nm 12,9-10), come anche il servo del profeta Eliseo (2Re 5,27). Il lebbroso pare non possedere nulla al di là del morbo che lo affligge e che sembra sufficiente a descrivere chi è: non ha un nome, non ha nessuno accanto e sta in un luogo ignoto, privo di qualsivoglia descrizione. Egli è l’unico malato di cui si narra nel secondo vangelo che giunge da Gesù da solo, senza essere condotto da altri; vive una costante situazione di isolamento poiché le relazioni sociali e religiose gli sono impedite, in osservanza di quanto prescritto dalla legislazione relativa ai lebbrosi in Lv 13-14. Il malato deve stare lontano da tutti e da tutto e nel momento in cui si avvicina a qualcuno deve gridare: “Impuro! Impuro!”.
Avvicinatosi a Gesù, il lebbroso gli si rivolge dicendo: «Se vuoi, tu puoi purificarmi». La reazione emotiva che tale richiesta suscita in Gesù è sorprendente e oggetto di studio da molti anni poiché non tutti i manoscritti presentano gli stessi vocaboli: alcuni attribuiscono al Maestro un sentimento di grande commozione (viscerale letteralmente), mentre altri uno scatto d’ira. A ben vedere il testo non riporta una domanda da parte del lebbroso, bensì una affermazione su ciò che il Nazareno può fare se solo desidera e vuole. Letta in quest’ottica, quella del malato non appare una professione di fede, quanto più una dichiarazione volta a sottolineare la discrezionalità dell’azione del Messia. Ciò considerato, potrebbe essere plausibile la reazione stizzita di Gesù che, peraltro, ritorna di nuovo subito dopo l’intervento di guarigione.
Il Nazareno interviene nei confronti del lebbroso non solo con la parola, ma con un gesto che, data la situazione descritta, risulta sconcertante: lo tocca. Anche questa domenica il vangelo ci presenta Gesù che si fa vicino a chi è nella sofferenza e lo prende per mano, offrendo sollievo. Egli non ha paura di essere contagiato dalla malattia e di diventare impuro, ma al contrario mostra come la sua prossimità possa essere contagiosa nel veicolare nuova vita.
Subito dopo Gesù ammonisce aspramente l’uomo ad andarsene, a mantenere il più stretto riserbo su quanto accaduto e gli raccomanda di andare dal sacerdote. Il lebbroso, di contro, ignora tutto quanto gli è stato detto e fa esattamente il contrario; si mostra, così, incapace di accogliere le richieste del Maestro e di andare oltre il mero interesse personale. Il suo essere esageratamente ciarliero, l’ostinazione a continuare a sbandierare ai quattro venti il miracolo ricevuto producono un effetto nefasto sulla diffusione dell’annuncio evangelico. Le sue parole eccessive e non opportune saturano la capacità di ascolto e recezione delle persone, a tal punto da generare l’impossibilità per il Nazareno di entrare nelle città, costringendolo a sistemarsi in luoghi isolati e ad accogliere quanti venivano da Lui.
Sembra che il ministero di Gesù sia di fronte ad una battuta d’arresto: al desiderio del Messia di alleviare le sofferenze della gente fa da contrappeso la necessità che la sua opera non si cristallizzi solamente nell’ambito taumaturgico. Il numero di coloro che lo cercano aumenta vistosamente, ma il pericolo è che la gran parte di questi sia solo alla ricerca di un miracolo per sé e non sia disposta ad accettare i tempi e le modalità di annuncio che solo Gesù può stabilire.
Della fede del lebbroso non si fa alcun accenno: sicuramente è stato molto determinato ad azzardarsi ad avvicinare l’inviato di Dio, ma non ha saputo andare oltre la sua necessità e una volta esaudito ha preferito “fare di testa sua”. Il lebbroso guarito è quanto di più distante si possa immaginare dal modello dell’annunciatore del vangelo: non sa rendersi docile ad una volontà che non è la sua. Anzi, il suo agire in maniera autonoma rappresenta un ostacolo non da poco nell’opera di colui che l’ha guarito.
Ci sarebbe da domandarsi se anche oggi le nostre parole siano fedeli ai tempi e ai progetti divini o se invece, qualche volta, non siano piuttosto chiacchiere rumorose che offuscano la capacità di ascolto della Parola vera.
Immagine: Gesù guarisce il lebbroso (secc. XII-XIII), mosaico, Cattedrale di Monreale, parete meridionale
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