Gesù, il servo si fa carico dei nostri peccati
Giovanni 1,29-34
In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele».
Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».
È questa la quarta volta in poco più di un mese che il Vangelo della domenica ci fa incontrare con la figura di Giovanni il Battista: in questa seconda domenica del tempo ordinario, pur essendo nell’anno A del Vangelo di Matteo, la liturgia ci fa leggere un brano del Vangelo di Giovanni dove Gesù è indicato da Giovanni Battista come l’“Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo” all’inizio del Vangelo e come “Figlio di Dio che battezza nello Spirito Santo” alla fine del nostro brano, mentre nella prima lettura il profeta Isaia, quello che è stato il profeta dell’Avvento, lo presenta come il “Servo del Signore”.
Allora possiamo partire da quanto dice Isaia nel secondo dei quattro canti del Servo, abbondantemente usati nel Nuovo Testamento per illustrare la vocazione e la missione di Gesù. La parola “servo” non ha niente di umiliante, anzi è un titolo di onore (Mosè è per eccellenza il servo del Signore negli scritti dell’Antico Testamento) e indica una scelta particolare da parte di Dio per una missione per Israele e per il mondo intero: “restaurare le tribù di Giacobbe e portare la salvezza fino all’estremità della terra”.
Come questo Servo del Signore realizzerà la salvezza fino agli estremi confini della terra? Il Battista usando l’immagine dell’Agnello dà una risposta ben fondata nella Bibbia e che va interpretata all’interno della stessa Bibbia. Non si tratta solo dell’immagine naturale dell’agnello come simbolo di mitezza e mansuetudine, ma all’interno della cultura biblica riconosciamo l’agnello come simbolo della Pasqua, la vittima sacrificale connessa all’evento della liberazione. L’agnello pasquale infatti è il segno dell’intervento di Dio che libera il suo popolo e gli fa compiere il passaggio verso una libera e amichevole relazione.
Ma l’immagine dell’agnello è stata usata dai profeti (vedi Geremia e Isaia nel quarto canto del Servo del Signore) anche per indicare un uomo mansueto mentre viene condotto al macello e proprio la figura del Servo sofferente che libera il popolo dai peccati con la sua morte può essere stata determinante per attribuire a Gesù Cristo il titolo di agnello che guida vittoriosamente lo scontro contro le potenze del male. Ma questa guerra contro il peccato l’Agnello Gesù Cristo non la conduce con la violenza scatenata contro gli altri, bensì prendendo su di sé le gravi conseguenze del peccato e pagando di persona, con il proprio sangue, in modo che gli uomini siano liberati. Infatti “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui” (Gv 3,17).
L’evangelista non si limita però ad usare l’immagine dell’Agnello per indicare l’opera di salvezza di Gesù, ma alla fine del brano evangelico aggiunge un’altra importante qualifica di Gesù: “Il Figlio di Dio, colui che battezza in Spirito Santo”. È evidente che l’Agnello è il Figlio di Dio e la sua azione di rimozione del peccato si realizza come “immersione” nello Spirito Santo.
Domandiamoci ora se noi sentiamo il bisogno di essere liberati dal male, dal peccato; se abbiamo coscienza che il vero male causa di tutti i mali dell’umanità è proprio il peccato che lacera l’uomo in se stesso, ne inquina profondamente i rapporti con le altre persone e con l’intero creato, rompe la relazione con Dio non più sentito come amico e salvatore ma come giudice e nemico: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura» dice Adamo (Gn 3,10).
Ora la salvezza operata da Dio mediante il suo Servo Gesù non è solo liberazione dal peccato, eliminazione di ciò che è negativo nella nostra vita, ma l’introduzione in una vita piena: “Santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata” ci dice S. Paolo nella seconda lettura e quindi anche chiamati per la missione di testimoniare questa salvezza, questa santità che è per tutti e nella missione il luogo nel quale l’annuncio può risultare più efficace sono le relazioni umane. Donare la vita significa costruire relazioni significative dove il Vangelo possa mostrare fino in fondo il volto di Gesù, il volto stesso di Dio.
Queste relazioni intense e positive noi possiamo coltivarle in tutti gli ambiti della nostra vita: nella famiglia, nelle relazioni di amicizia e di lavoro, nei momenti parrocchiali e comunitari... dovunque avvenga l’incontro interpersonale con l’altro.