Fedele, libero e solidale fino alla fine
Matteo 26,14-25.69-75;27,45-54
Riportiamo solamente tre stralci cartteristici del racconto della Passione secondo Matteo.
In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnare Gesù. Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto».
Pietro intanto se ne stava seduto fuori, nel cortile. Una giovane serva gli si avvicinò e disse: «Anche tu eri con Gesù, il Galileo!». Ma egli negò davanti a tutti dicendo: «Non capisco che cosa dici». Mentre usciva verso l’atrio, lo vide un’altra serva e disse ai presenti: «Costui era con Gesù, il Nazareno». Ma egli negò di nuovo, giurando: «Non conosco quell’uomo!». Dopo un poco, i presenti si avvicinarono e dissero a Pietro: «È vero, anche tu sei uno di loro: infatti il tuo accento ti tradisce!». Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quell’uomo!». E subito un gallo cantò. E Pietro si ricordò della parola di Gesù, che aveva detto: «Prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte». E, uscito fuori, pianse amaramente.
A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito. Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. Uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. Il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, alla vista del terremoto e di quello che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: «Davvero costui era Figlio di Dio!».
Con Gesù appare pienamente l’amore e la bontà di Dio per l’uomo. Egli non dipinge il mondo né peggiore né migliore di come esso è. Né moraleggia subito. Egli guarda la realtà con straordinario buon senso, che sorprende tutti quelli che gli stanno intorno. Ha la capacità di collocare tutte le cose importanti al loro giusto posto. A questo buon senso egli aggiunge la capacità di non fermarsi alle apparenze delle persone e della realtà umana. Sa distinguere l’essenziale dal secondario. Vede l’uomo più grande e più ricco del suo ambiente culturale, delle precomprensioni, degli schemi adulterati da interessi personali e comunitari. In lui si rivela quello che è più divino nell’uomo e quello che è più umano in Dio.
Egli non fa teologia speculativa. I suoi comportamenti e le sue parole mordono appieno nel concreto. I suoi consigli sono incisivi e diretti: «Riconciliati con il tuo fratello»; «Non giurare affatto»; «Se qualcuno ti percuote sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra»; «Quando fai l’elemosina la tua sinistra non sappia ciò che fa la tua destra».
Non si appella mai ad una autorità superiore, che rafforzi dall’esterno la sua propria autorità e dottrina. Comanda di amare i nemici, perché tutti sono figli dello stesso Padre. Si svincola dalle prescrizioni del sabato. Invita ad aver fiducia nella provvidenza. Il suo sguardo sulla realtà è penetrante e, senza alcun preconcetto, va subito al nocciolo delle questioni. Le sue parabole mostrano che Egli conosce tutta la realtà della vita, buona e cattiva. Tutto ciò che è autenticamente umano appare in Gesù: l’ira e la gioia, la bontà e la durezza, l’amicizia, la tristezza e la tentazione. Si scaglia contro i profanatori del tempio. Si sfoga contro i farisei. Si interroga sulla smodata ricerca di segni: «Perché questa generazione chiede un segno?».
Non discrimina nessuno, nemmeno gli eretici e scismatici samaritani, né le persone di cattiva reputazione come malati, lebbrosi e poveri. Né i ricchi, le cui case frequenta, pur dicendo loro: «Guai ai ricchi». Non rifiuta gli inviti dei suoi oppositori più accaniti, i farisei, pur dicendo loro, con piena libertà, «guai a voi, farisei ipocriti e ciechi». Quindi, si distanzia dall’inquadrare le persone in schemi prefabbricati. Smaschera domande insidiose e dà risposte sorprendenti. È originale, non nel senso di strano, ma perché dice le cose con assoluta immediatezza e sovranità. Tutto ciò che Egli dice e fa è trasparente, cristallino ed evidente. L’elemento determinante per entrare nel regno di Dio è l’amore verso i fratelli. Non è venuto per rendere più comoda la vita degli uomini, al contrario.
Tutto ciò destabilizzava, indisponeva e portava a riunirsi tutte le autorità di allora: i farisei, fanaticamente attaccati alle loro tradizioni; gli scribi, eruditi nelle Sacre Scritture; i sadducei, conservatori e opportunisti; gli alti funzionari della capitale, gli erodiani della Galilea, che volevano l’indipendenza dai Romani; infine le stesse forze di occupazione, i Romani.
Tutti costoro considerano Gesù come loro nemico. Si aggiunge la popolarità di Gesù e l’accoglienza che Egli riceveva dalle masse popolari, provocando in molti invidia e malvolere. Quando capiscono che non c’è modo per arginare Gesù e la sua missione se non con la violenza, l’inganno e il sopruso, cercano disperatamente una miccia per far detonare quanto Egli stava proponendo e facendo. Un traditore e trenta denari scatenano l’inferno. Viene imprigionato, torturato e condannato a morte. Subisce un duplice processo: l’uno religioso, dinanzi alle autorità giudaiche, e l’altro politico dinanzi alle autorità romane. Gesù è condannato per delitto di bestemmia e per aver sovvertito l’ordine pubblico. La sua fine deve essere cruenta, esemplare.
L’accurato “Vangelo della passione” non intende essere solo un resoconto storico, ma anche una professione di fede in Gesù, che accetta liberamente di mettere nel suo morire tutto l’amore per gli altri e per Dio, sempre confidando in Lui.
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