Commento al Vangelo domenicale
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Beati voi, poveri guai a voi, ricchi

Luca 6,17.20-26

In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne. Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».

Il Vangelo di questa domenica inizia con un quadro riassuntivo dell’attività di Gesù che prepara lo scenario del suo discorso programmatico. Veramente il discorso iniziale del suo programma Gesù lo aveva già tenuto nella sinagoga di Cafarnao, quando, sulla base di un testo di Isaia, aveva proclamato il suo compito di annunciare la buona notizia ai “poveri”.
Ora, in un certo senso, riprende quel discorso in un orizzonte più ampio rispetto all’uditorio della sinagoga, frequentata dai soli ebrei. Quando scende dal monte, dove ha scelto e costituito i Dodici, egli incontra la folla dei discepoli e la massa della gente venuta da ogni parte della terra di Israele e dalle regioni pagane di Tiro e Sidone. In questo modo Luca anticipa l’immagine della Chiesa presentata negli Atti degli Apostoli con l’orizzonte universale di annuncio del Vangelo oltre i confini di Israele.
A differenza dell’evangelista Matteo che presenta Gesù che sale sul monte (come Mosè) per proclamare il suo discorso programmatico, l’evangelista Luca presenta Gesù che scende dal monte e si ferma in un luogo pianeggiante, luogo dell’incontro con la gente, e la folla bisognosa viene a lui per ascoltarlo e per essere guarita. La salvezza di Dio si manifesta nei gesti e nelle parole di Gesù e il discorso che segue immediatamente offre un esempio del lieto messaggio proposto da Gesù: non si tratta di un discorso di propaganda, ma di una parola che illumina e gesti concreti di accoglienza e di guarigione già messi in atto.
Con la forza di Dio egli libera i “poveri”, oppressi e schiavi del potere del male e quelli che sono stati liberati sono in grado di accogliere la proclamazione del Regno come lieto annuncio per i poveri. È evidente che, in Luca, Gesù rivela la condiscendenza divina: è Dio che viene a noi nel Figlio suo, non noi che andiamo verso di lui. Osserviamo ancora che Gesù non è solo, con lui c’è “una grande folla di discepoli” e attorno a questi “una grande moltitudine di popolo”. Il discepolo è tale perché ha già ascoltato e accolto la parola di Gesù ma, come indica la scena, la comunità dei discepoli con Gesù non forma una società di separati e chiusa in se stessa, bensì una Chiesa che continua ad ascoltare la parola di Gesù nel mondo, dove tanti altri ascoltano quello che Gesù dice ai suoi discepoli e vogliono pure essere guariti da lui.
A questo punto Luca riporta il suo caratteristico discorso delle beatitudini (ne elenca quattro) con i successivi quattro “guai” o maledizioni, il tutto enunciato nella forma: “beati voi” e “guai a voi”. A chi si rivolge Gesù con quel voi? Il versetto iniziale lo indica chiaramente: “Gesù, alzati gli occhi verso i suoi discepoli, disse...” (Lc 6,20) e il “voi” delle beatitudini non sembra distinguersi dal “voi” delle maledizioni. È ovvio che il Vangelo, composto per una comunità di cristiani, deve sempre essere letto come rivolto, per primo, ai cristiani, ai discepoli.
Gesù, quindi, sta prospettando ai discepoli la possibilità di trovarsi un giorno in due situazioni contrapposte: quella dei profeti trattati male dal proprio popolo o comunità, o quella dei falsi profeti applauditi da tutti. Luca, inoltre, sembra riecheggiare quanto Paolo denunciava nella comunità di Corinto e che l’evangelista ben conosceva, perché nelle loro assemblee si faceva un’ignobile distinzione tra ricchi e poveri. Anche Giacomo, nella sua lettera, denuncia certe assemblee cristiane in cui il ricco vestito elegantemente era bene accolto, mentre il povero era relegato all’ultimo posto. La comunità che legge, anche oggi, quanto scritto da Luca, non può non sentirsi scossa.
Due sono le categorie di persone che qui si oppongono: da una parte ci sono i poveri, gli emarginati, quelli che hanno fame, che piangono e sono odiati da tutti; dall’altra parte ci sono coloro che ridono e sono lodati da tutti, i ricchi e i sazi. Ora i primi sono dichiarati beati, mentre per i secondi suona la maledizione. Ma chi sono i poveri? Luca, a differenza di Matteo che scrive “beati i poveri nello spirito”, si riferisce semplicemente ai poveri, i socialmente poveri, gli indigenti, gente che ha fame. A essi si oppongono i ricchi, cioè i benpensanti.
Il Vangelo chiama beati i poveri, non per la loro situazione sociale (non sono “beati” perché “poveri”), ma perché a loro si apre la via della speranza e della vera libertà. A loro è dato il lieto annunzio, agli altri no. Essi possono tendere verso il regno di Dio perché appartiene a loro; gli altri, i ricchi, devono “scomparire” o con la condanna o mediante la conversione che li porta a condividere i loro beni con i poveri. È evidente che le tre beatitudini, dopo la prima, si riferiscono ancora a forme di povertà, quasi una specificazione di cosa vuol dire quel “beati voi poveri” che sta all’inizio del discorso delle beatitudini.
A questo punto è evidentemente necessario che ci interroghiamo seriamente su come prendiamo in considerazione queste parole di Gesù. Diciamo subito che non si tratta di un proclama di “pauperismo”, quasi che la condizione di povertà, di miseria materiale, sia automaticamente garanzia d’ingresso nel Regno. San Paolo, nel raccomandare la colletta per le comunità povere della Palestina afferma: “Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza” (2 Cor 8,13); come si vede, è un bel programma di giustizia sociale.
Resta comunque vero il fatto che si tratta della bella notizia che Dio ha sempre un occhio di predilezione verso coloro che sono svantaggiati, che non contano nulla nella considerazione mondana, ai quali nessuno è disposto a fare alcun credito: se Dio deve schierarsi dalla parte di qualcuno, lo fa sempre dalla parte degli ultimi.

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