Il nuovo inizio di don Borchia con un piccolo colpo di scena
di ANDREA ACCORDINI
È arrivato in Valpolicella, a Pedemonte, dopo 11 anni a Rizza
di ANDREA ACCORDINI
«Vengo qui umilmente, in obbedienza al Vescovo e mettendo in gioco tutta la mia umanità e la mia fede». Si è presentato così don Simone Borchia ai nuovi parrocchiani di Pedemonte. Lo scorso sabato, nella Messa festiva delle 18.30, il presbitero ha fatto il suo ingresso nella nuova comunità della Valpolicella, dove è approdato dopo un’esperienza durata undici anni in quel di Rizza, frazione a sud di Verona.
E diversi erano gli ex parrocchiani presenti per accompagnare don Simone all’inizio del suo nuovo percorso, partito però con un inaspettato colpo di scena. Durante la celebrazione, arrivati al momento della lettura del decreto vescovile di nomina del parroco, infatti, tra i concelebranti ci si è resi conto che nessuno aveva portato con sé il documento da leggere. Dopo qualche attimo di smarrimento, dunque, don Simone ha dovuto lasciare il presbiterio per mettersi alla ricerca dell’atto, la cui lettura era indispensabile per sancire la “presa di possesso” della parrocchia da parte del nuovo legale rappresentante. È bastato comunque solo qualche minuto di attesa per recuperare il tutto.
«Il Signore si è servito anche di questo inghippo per creare familiarità e rompere la tensione che prima provavo» ha poi commentato all’inizio dell’omelia don Borchia. Dalle emozioni del momento «diverse e contrastanti», il neoparroco di Pedemonte si è poi concentrato sulla certezza che lo anima, «che Gesù c’è già, è già presente, qui in mezzo a noi», l’obiettivo è quindi di fare in modo che venga accolto da ciascuno.
«In tanti ora si staranno chiedendo cosa farà il nuovo parroco, da dove partirà, come farà…», ha poi evidenziato il sacerdote, dando voce alle normali curiosità di ogni fedele in occasioni simili. «Ebbene – ha proseguito – per prima cosa ascolterò e cercherò di inserirmi in questa realtà imparando da tutti voi». Punto di riferimento in questo nuovo inizio – come spiegato dallo stesso don Borchia – sono le massime di perfezione cristiana del beato Antonio Rosmini, ossia «desiderare unicamente e infinitamente di piacere a Dio, cioè di essere giusto; rivolgere tutti i propri pensieri ed azioni all’incremento e alla gloria della Chiesa di Gesù Cristo; rimanersi in perfetta tranquillità circa tutto ciò che avviene per divina disposizione riguardo alla Chiesa di Gesù Cristo, operando a pro di essa dietro la divina chiamata; abbandonare se stesso nella divina Provvidenza; riconoscere intimamente il proprio nulla; disporre tutte le occupazioni della propria vita con uno spirito d’intelligenza».
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