Dar da mangiare ai poveri: attività che non conosce crisi...
Un'opera di misricordia riscontrabile nel convento di San Bernardino
Non conoscono crisi, anzi, hanno sempre più “clienti”. Sono le mense dei poveri che ogni giorno offrono sollievo e ristoro a tante persone bisognose. Padre Andrea Contini, 52enne frate minore ligure, da tre anni e mezzo vive nel convento di San Bernardino ed è responsabile della mensa dei poveri che esiste da moltissimo tempo. «Negli ultimi cinque-sei anni è stata rinnovata e spostata come ambiente. Al di là dell’organizzazione o meno di una mensa, comunque noi frati cerchiamo sempre in qualsiasi convento di avere una porta aperta, anche un piccolo locale per dar da mangiare a chi ha fame».
– Com’è organizzata la mensa dei poveri di San Bernardino?
«La nostra attività è resa possibile grazie all’opera di tanti volontari che danno una mano. Ogni giorno ne servono almeno 12, complessivamente sono più di cento e si alternano. La mensa è organizzata secondo un modello per certi versi fisso, ma in realtà in continua evoluzione, tenendo conto che da noi arrivano le persone che poi dormono sulla strada, tanti profughi. Questo a Verona, come in altre città, è un po’ un luogo dove si arriva e si fanno le primissime cose. C’è una identificazione che a noi serve per fornire gli indumenti e soprattutto per poter accedere alle docce. A questo riguardo abbiamo fatto una scelta specifica, nel senso che nelle mattinate di martedì, mercoledì, venerdì e sabato sono disponibili sei docce per gli uomini e due per le donne; inoltre non diamo vestiti ma biancheria intima, e quanto occorre per l’igiene personale: schiuma da barba, rasoi...».
– La mensa a che ora apre?
«La mattinata si divide in due momenti: dalle 8.30 ci sono preparazioni di vari tipi tra cui le docce nei giorni ricordati; quindi facciamo un momento di preghiera con i volontari e dalle 11 a mezzogiorno avviene la distribuzione del pasto e si può accedere nel locale apposito per ritirare quanto può servire a chi vive in strada: dal piccolo profumo alla saponetta…».
– Quante sono le persone che vi accedono?
«Sedute a mangiare dalle 100 alle 120, inoltre tutti i giorni si preparano dai 50 agli 80 sacchettini contenenti uno-due panini imbottiti, un dolcetto e un frutto. Per la mensa si autoregolano: quando non ci sono più posti a sedere, chi resta fuori riceve il sacchetto. Mentre per le docce è stato necessario un minimo di regolamentazione».
– Non c’è una registrazione per la mensa?
«No, si entra liberamente».
– Capita che si verifichino problemi tra gli ospiti?
«I problemi tra di loro ci sono, se li portano dal di fuori ma possono nascere anche dentro, quindi bisogna vigilare molto sulla sicurezza, cercando di creare quanto più possibile un clima di pace e di serenità».
– Cosa mangiano i poveri?
«Quello che ci dà la gente».
– Cosa viene preparato di solito?
«In linea di massima ci sono un primo e un secondo, poi quando li abbiamo ci può essere lo yogurt, un dolcetto o un frutto, dipende dalla Provvidenza».
– Da dove arrivano questi prodotti?
«È tutta roba che arriva dalla gente. Magari dobbiamo andare a prenderla. Infatti una volta chiusa la mensa, nel pomeriggio, quando chiamano, andiamo a ritirare i prodotti in varie cascine, consorzi o presso privati. Col tempo si è creata una piccola rete di benefattori che ci conoscono e quindi offrono tante cose».
– Immagino frequentino la mensa persone di tutte le religioni, quindi anche islamici che non mangiano carne di maiale…
«Compatibilmente con quello che la Provvidenza ci dà, cerchiamo di avere le dovute attenzioni nei confronti di chi ha un determinato genere di alimentazione».
– Il servizio della mensa è aperto tutti i giorni?
«Da lunedì a sabato».
– Tra gli ospiti ci sono anche dei veronesi?
«Sì, ce ne sono».
– In percentuale?
«Non saprei dire esattamente, però su cento persone gli italiani saranno una trentina, a volte meno, a volte di più».
– Fate la preghiera prima del pasto?
«Sì, sempre tenendo conto di tante sensibilità, proprio perché desideriamo trasmettere che siamo nella casa del Signore servita dai frati».
– Il servizio avviene ai tavoli o è self-service?
«Vengono serviti dai volontari. Ogni giorno li organizziamo in maniera che tutto avvenga in modo rapido ed efficace».
– Ci sono anche giovani tra i volontari?
«Sì, le richieste sono ad ampio raggio: dai giovani ai pensionati, come pure scolaresche che vengono a visitare la mensa per rendersi conto della questione; inoltre richieste dai servizi sociali per piccoli inserimenti… È un tipo di volontariato particolare, non è quello standard che conosciamo ma è formato da gente che viene per un periodo, poi smette, oppure studenti che sono qua a Verona, sanno della mensa, danno una mano poi tornano a casa una volta finiti gli studi... Un tipo di volontariato assolutamente indispensabile, ma è difficile creare un gruppo».
– Viene svolta una formazione specifica o solo tecnica?
«Certamente, nel senso che – tenendo conto di queste caratteristiche – una volta al mese ci troviamo per fare il punto della situazione, per individuare degli ambiti su cui confrontarci e dialogare».
– Che significato ha per lei l’opera di misericordia “dar da mangiare agli affamati”?
«Significa due cose: in primo luogo certamente rendersi conto che con poco si può soddisfare anche oggi un bisogno primario; dall’altra parte c’è sempre più la consapevolezza che è un modo per instaurare delle relazioni, per prendere dei contatti, per creare dei collegamenti, delle connessioni umane e a volte anche spirituali».
– Un suo auspicio?
«Una cosa mi sembra importante: sempre di più tutti insieme (la città, le istituzioni, la Chiesa, noi frati) siamo chiamati a lavorare in rete perché questo tipo di servizi guardino avanti con lungimiranza, non siano considerate cose di passaggio. Dobbiamo fare il possibile perché tutto sia armonizzato con la realtà quotidiana, con le istituzioni, con i cambiamenti di ogni giorno».
– C’è un coordinamento in città?
«Sì, c’è un buon coordinamento sia a livello di Comune che periodicamente raduna tutte le realtà del settore e poi tra le associazioni dove il coordinamento non è formale però ci si conosce e quindi ci si aiuta. Per esempio chi abbonda di un determinato prodotto, lo porta ad un’altra mensa, a un altro istituto perché, come dicevo, tantissime persone danno da mangiare».
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