Tre preti diocesani partono per la missione
di PAOLO ANNECHINI
In Cattedrale il mandato e il crocifisso don Jacopo Campagnari che parte per la Guinea Bissau, don Daniele Soardo e don Simone Zanini che partono per Cuba
di PAOLO ANNECHINI
Sono tre i missionari fidei donum che il 15 ottobre, in Cattedrale, hanno ricevuto il mandato e il crocifisso missionario dalle mani del Vescovo di Verona, mons. Giuseppe Zenti: don Jacopo Campagnari che parte per la Guinea Bissau; don Daniele Soardo e don Simone Zanini che partono per Cuba.
Se per don Jacopo è la prima esperienza missionaria, per don Simone e don Daniele si tratta di una ripartenza. Li abbiamo intervistati.
– Don Jacopo, perché si è reso disponibile per la missione?
«Tante persone incontrate nella mia vita e negli anni in seminario mi hanno parlato di missione, soprattutto di quanto la missione aveva dato loro, aveva cambiato la loro vita. Anche questo mi ha fatto decidere di dare la mia disponibilità a partire. Vedevo che quella bellezza che raccontavano potevo viverla anch’io, ovvero scoprire Dio con gli occhi di altri popoli, di culture molto differenti dalla nostra, raccontarci quel volto di Dio grande e bello che siamo chiamati tutti a scoprire. Vedere che altri avevano fatto questo mi riempiva di gioia e volevo anch’io godere di quella gioia».
– “Io non posso tacere quello che ho visto e ascoltato” è parte del tema della Giornata missionaria mondiale di quest’anno. Lei cosa non può tacere?
«Non posso tacere di un Dio che anche quando sei nei momenti tragici della vita è lì che ti cammina a fianco, è lì che in qualche modo ti fa vedere quella luce che continua a resistere nonostante tutto e ti porta a scoprire la bellezza che c’è intorno a te. Non posso tacere questo, che come lo ha fatto a me penso lo faccia con tutta l’umanità».
– Don Simone, parte per Cuba ma non è la sua prima volta in missione.
«Sono già stato fidei donum in Mozambico e da quella esperienza ho conservato il desidero di tornare in missione. Ora c’è bisogno di ricambio nella missione di Cuba, il Vescovo mi ha chiesto la disponibilità e io l’ho data volentieri. Porteremo avanti la vita semplice di quelle comunità che, come ci dicono, è fatta di celebrazioni e vicinanza alla gente, con molte visite nelle famiglie».
– Quali sono le sue aspettative?
«Vista la situazione davvero difficile per il Covid, mi hanno detto che le aspettative per il momento è meglio metterle da parte e prendere le cose così come vengono! Di certo ho voglia di crescere insieme alle persone che incontrerò».
– Don Daniele Soardo, anche per lei non è la prima volta...
«La prima volta è stata in Brasile e avevo chiesto io di fare un’esperienza missionaria, visto che la mia vocazione è nata con i comboniani e mi è sempre rimasta l’idea del sacerdozio colorato di questa dimensione. Sono partito a 35 anni nel 2001 e ne ho vissuti quasi 12 in Brasile. Poi nel 2013 sono andato come parroco a Povegliano e ci sono rimasto fino ad ora. Quando il Vescovo quest’estate mi ha chiesto di riprendere la vita missionaria a Cuba, ci ho pensato un pochino: non ho più 30 anni, Cuba non è il Brasile e avevo pensato che il capitolo missionario per me fosse concluso. Poi ho visto le esigenze della Chiesa caraibica, la proposta non mi turbava, motivi per dire di no non ne ho trovati. E quindi eccomi qui, pronto a rimettermi in gioco».
– Anche l’Italia è terra di missione?
«Certo, è sempre più evidente. Il Covid ha accelerato e messo in luce un modo di essere Chiesa qui in Italia che va profondamente ripensato. Però questo non deve rimettere in discussione l’essenzialità della missione ad gentes per una Chiesa, soprattutto nella dimensione dello scambio. A Pinar del Rio ci sono 20 preti per un territorio 4 volte superiore e per una popolazione doppia rispetto a quella della nostra diocesi. Chi dice che a Verona ci sono pochi preti forse dovrebbe alzare lo sguardo e vedere il mondo».
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