Una forza di ri-attrazione
di NICOLA SALVAGNIN
È meglio ragionare con la mente più aperta: l’Italia non può ri-attrarre manifatture di calzini e asciugamani
di NICOLA SALVAGNIN
In buona sostanza, due anni di Coronavirus e un’altra serie di complicazioni (guerre, incidenti nel Canale di Suez, tensioni nel Mar Cinese…) hanno spezzato quell’equilibrio creato una ventina d’anni fa nell’economia e nel commercio planetario: si produce ovunque, si vende ovunque, nessun grande ostacolo al business mondiale.
Invece quell’equilibrio si fondava sui trasporti dei beni e delle materie prime soprattutto via mare. Se le navi – per varie ragioni – si muovono di meno, va tutto in tilt: le fabbriche non avranno materie prime e semilavorati, i Paesi non si riforniranno di idrocarburi, i negozi e i punti vendita non avranno merce da vendere, o con tempi sempre più dilatati.
S’inverte così la curva dei prezzi. In continua discesa globale per un ventennio, da quando cioè l’Est asiatico e la Cina sono diventati la fabbrica del mondo; ora in continua salita ovunque. Se la domanda di beni supera l’offerta degli stessi, dal tempo delle palafitte ad oggi i prezzi vanno all’insù.
Orbene, si dice: ricostruiamo le “catene di valore” più vicino a casa; riportiamo le fabbriche qui. Ci saranno più posti di lavoro e meno circolazione delle merci.
È una soluzione che in alcuni casi è valida, soprattutto in quelli in cui la delocalizzazione non è stata una scelta vitale. Purtroppo (o per fortuna) non è una ricetta valida in generale. Certi prodotti triplicherebbero di prezzo in un amen, molto made in Italy uscirebbe dal mercato in quanto non competitivo. Il costo del lavoro in Vietnam non è minimamente paragonabile al nostro…
Ci sono poi degli effetti collaterali: de-industrializzare certi Paesi poveri li spingerebbe a una povertà e a un’instabilità sociale ancor maggiore; il ritorno delle fabbriche non sarebbe in Italia o Germania, ma in Slovacchia o Romania, forse in Tunisia o Egitto. Qui operai non ce ne sono e non ce ne saranno.
Rimane un dato di fatto. Le cose stanno cambiando rapidamente. L’impalcatura Asia-fabbrica e Occidente-mercato non funziona più, o non più come prima. Piuttosto è meglio ragionare con la mente più aperta: l’Italia non può ri-attrarre manifatture di calzini e asciugamani. Deve essere un punto di riferimento anche produttivo per microchip, farmaci e ricerca farmacologica, robot industriali, batterie e sistemi di accumulo energetico, filiere di energie alternative, nuovi materiali di qualsiasi tipo… Insomma ricerca, innovazione e conseguente produzione; cervello più che braccia.
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