Salario minimo, ma soprattutto equilibrato
di NICOLA SALVAGNIN
Una scelta ponderata non risponde solo ad un astratto concetto di “equità”, ma soprattutto deve evitare di produrre disoccupazione o lavoro irregolare
di NICOLA SALVAGNIN
Affinché la questione non diventi una gara al rilancio irresponsabile (“chi offre di più?”. “Io, 10 euro!”), sarebbe meglio che a stabilire una soglia minima oraria di retribuzione – nel caso il Parlamento decida in tal senso – sia una commissione indipendente composta da esperti che sappiano valutare la condizione del mercato del lavoro. E la sua introduzione sia mirata, così come proposto dai tecnici del precedente ministro del Lavoro: salario minimo in via sperimentale e solo nei settori che presentano le criticità più elevate. Casomai poi si può esportare ovunque.
Questa la retta via, utilizzata anche in altre parti d’Europa. Il rischio, invece, è che si scelga la “strada italiana”: ogni partito propone il suo minimo retributivo, con una gara ad alzarlo e quindi a prendersene poi i “meriti”. Che c’è di male, direte? Il fatto è che un salario minimo sganciato sia dalla realtà economica che stiamo vivendo, sia dalle situazioni territoriali, non fa bene a (quasi) nessuno. Se troppo alto, rischia di mandare in tilt tutta la contrattazione collettiva, che in Italia è molto avanzata e stabilisce certi livelli a ragion veduta e dopo non semplici discussioni tra le parti.
Se troppo alto (troppo basso sarà impossibile), rischia un effetto ancora peggiore: di non essere applicato. E di far esplodere il “nero”.
Andiamo sul pratico. In buona parte del Nord, 7-8 euro netti (sottolineo: netti) sono considerati retribuzione oraria “minima”: per camerieri, badanti, colf, vendemmiatori e altro ancora. Se fosse elevata d’imperio a 10 – per dire – potrebbe produrre sia una riduzione dei posti di lavoro, sia uno scivolamento verso pagamenti in nero.
Ma la stessa cifra “minima” al Nord, è quasi un sogno nel Sud e nelle Isole. Raccoglitori di olive e manovali vengono retribuiti molto meno. Già ora i pagamenti fuori busta – per certe tipologie di lavoro – sono quasi la norma. Figuriamoci dopo.
Un parametro di calcolo, in Europa, è dato dal salario mediano: la retribuzione minima si colloca a metà circa dello stesso. Le proposte che attualmente girano nel dibattito politico italiano si collocano al di sopra (nettamente al di sopra, se si considera il Mezzogiorno). Quindi si capisce che una scelta ponderata non risponde solo ad un astratto concetto di “equità”, ma soprattutto deve evitare di produrre disoccupazione o lavoro irregolare. E quando si stabiliscono ex lege certe norme, sarebbe poi intelligente creare un sistema che preveda controlli e il rispetto delle stesse.
Perché se c’è una cosa in cui gli italiani sono imbattibili, è quella di aggirare le norme: facta lex, inventa fraus. Lo dicevano i Latini duemila anni fa, il male è antico.
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