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Quando fare merenda era una cosa seria

di MARTA BICEGO
Dolce o salata, ma “vera”. E che buona quella della nonna... 

Quando fare merenda era una cosa seria

di MARTA BICEGO
La merenda è una coccola per grandi e piccini. Una pausa che, a volte, ci ritagliamo nella frenesia del pomeriggio o che prepariamo per far felici i bambini, ma che regala gioia a tutte le età. Dolce o salata che sia, specialmente se fatta in casa, racchiude un ingrediente segreto: quello del ricordo che riconduce a momenti lieti della nostra vita. Spesso all’infanzia. Ed ecco che anche uno spezza-fame semplicissimo – ad esempio una fetta di pane fragrante accarezzata da un sottile strato di burro e marmellata – riesce a suscitare forti emozioni.
Andiamo alle origini del termine latino, merere: «Significa “meritare”. È qualcosa che interrompe il pomeriggio, che al contempo ci fa stare bene, che andiamo a cercare nella dispensa. Qualcosa di goloso e insieme un atto d’amore», premette la chef Marina Grazioli, segretaria dell’Associazione Cuochi Scaligeri Verona. Si definisce appassionata di sapori e piatti “vintage”, che ama riscoprire e per professione aiuta a far conoscere. A partire dalla sua esperienza personale: «Ricordo quando, il sabato pomeriggio, raggiungevo la nonna in Valdonega e aspettavo la merenda. Era qualcosa sempre di diverso, che preparava appositamente per me. Come pane, burro e zucchero o il panino con la frittatina dolce». Ingredienti semplici, ma genuini, dietro ai quali c’erano una ricerca, la preparazione, una celebrazione di quella pausa nella giornata. Tanto che molti, le merende del passato, le hanno bene impresse nella memoria. In contrapposizione, la chef chiede: «Che atto d’amore c’è oggi nell’aprire una merendina confezionata?».
C’erano tanti modi di «meritare» questo spuntino di metà pomeriggio, prosegue Grazioli. La ricotta fresca, schiacciata e mescolata a cacao oppure a miele. Il pane con l’olio. Il pane con l’uva. Una tazza di latte con il pane del giorno prima e una spruzzata di cacao o di cannella. Il goloso “risolatte” (a ben guardare, il cugino del risino) che si può preparare pure con la tecnica della vasocottura per velocizzare la preparazione. E ancora il ciambellone, rapido da realizzare, o lo zabaione, privilegiando le uova pastorizzate, che con l’aggiunta di colla di pesce diventa un dolce “in piedi”. «È importante ricordare da dove veniamo e non sostituire il nuovo con il vecchio, ma partire dal passato per avere un domani migliore», sottolinea. «Dobbiamo innovare – conclude –, ma questo non significa cancellare il passato, anche in cucina». 

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