Prigioniere due volte
Chiuse in casa nel lockdown e vittime dei loro aguzzini. Ecco come la pandemia ha inasprito il dramma delle donne vittime di abusi
Doppiamente vittime. Perché lockdown e smartworking hanno obbligato le donne che subiscono abusi a trascorrere più tempo tra le pareti domestiche, quindi a rimanere a stretto contatto con i loro aguzzini. E con la preoccupazione, costante, del cercare di preservare i figli dal dramma che stanno affrontando, spesso nella solitudine. Tra le crepe causate nella società dalla pandemia da Coronavirus c’è l’effetto del rendere più profonda quella violenza di genere che, imbrigliata nelle trame della paura, tende a rimanere nascosta dietro le porte delle case.
«Il lavoro da fare è ancora molto», afferma Elisabetta Sega, responsabile di Petra, il Centro antiviolenza del Comune di Verona, tracciando un bilancio delle attività portate avanti da gennaio a ottobre, quindi durante l’emergenza Covid-19. Sono state circa 1.500 le vittime che si sono rivolte al servizio. «Il timore era di non poter dare tutto l’aiuto richiesto – aggiunge –. Abbiamo perciò rafforzato i servizi telefonici e, non appena è stato possibile, siamo tornati operativi con i colloqui e le attività tradizionali. Dal 2004 le richieste di aiuto sono aumentate progressivamente, un dato che vogliamo leggere come segno di fiducia nell’attività svolta dal Centro e che ci sprona a proseguire sulla strada intrapresa».
La fotografia che emerge dai numeri del centro Petra, dal 2004 a oggi, conferma la natura del fenomeno. La maggior parte dei comportamenti violenti si consuma tra le pareti domestiche o scaturisce da legami affettivi conclusi oppure in corso. La vittima nel 70% dei casi è italiana, coniugata (48%), separata o divorziata (12%), nubile (29%). Nella maggioranza delle situazioni (70%) si tratta di donne che hanno una propria indipendenza economica, per il 70% madri. Appena il 39% delle vittime, purtroppo, denuncia i maltrattamenti: la punta di un iceberg il cui sommerso è composto da storie di grandissima sofferenza.
Intrecciare gli sforzi è fondamentale, così che le trame delle azioni diventino sempre più fitte. «È importante che ogni soggetto che incontra la donna (dall’assistente sociale all’operatore sanitario, dal rappresentante delle forze dell’ordine all’operatrice del centro antiviolenza) possa contare su una rete consolidata di servizi ed esperienze per intervenire tempestivamente con tutta la competenza necessaria», precisa Lorella Don, presidente di Telefono Rosa Verona. Da inizio 2020 sono oltre 300 le donne che hanno preso contatto con l’associazione di volontariato che offre ascolto, informazione e sostegno a quante sono imbrigliate in situazioni di violenza; in 112 hanno chiesto supporto. «Nessuna donna dev’essere lasciata sola», aggiunge. Per questo Telefono Rosa è parte della sinergia che coinvolge 37 comuni del distretto ovest che da tempo sostengono e finanziano, insieme all’Ulss 9 Scaligera, una filiera di servizi che vanno dal protocollo con le forze dell’ordine e gli ospedali per accogliere in emergenza una donna maltrattata; una casa rifugio e appartamenti di sgancio in cui madri e i figli possano avviare un percorso di rinascita.
In generale, la situazione appare complicata. Se confinamento sociale e distanziamento correlati alla pandemia hanno avuto come conseguenza il calo dei reati, da un’analisi dell’Istat emerge invece che le chiamate al numero verde nazionale antiviolenza (1522) hanno registrato un’impennata del 119,6% tra marzo e giugno di quest’anno, passando da 6.956 a 15.280; le richieste di supporto via chat sono quintuplicate, da 417 a 2.666.
«L’epidemia ha accresciuto il rischio di violenza e all’inizio ha messo in atto una situazione di paralisi da parte delle donne, che si sono bloccate. Non riuscivano a chiedere aiuto, hanno riscontrato difficoltà a cercarlo e riceverlo. Questo è dipeso dai territori e dalla rete dei servizi: chiuse in casa senza poter fuggire, si sono trovate vicine a quella violenza che si poteva scatenare», chiarisce la psicologa psicoterapeuta Roberta Siani, tra le voci del workshop interattivo “Quando #iorestoacasa non è rassicurante: l’impatto del Covid-19 sulla violenza domestica e possibili vie d’uscita”, promosso dall’Azienda ospedaliera universitaria integrata. «Oltre a percosse, lividi e occhi gonfi esiste una violenza psicologica più subdola che convince la vittima di non valere niente, di essere incapace di agire. Una gabbia psicologica in cui ha paura di muoversi e fare la cosa giusta, un’apatia indotta dal tipo di situazione», spiega.
A farle eco, la psicologa Franca Consorte che da tre anni è responsabile del Centro antiviolenza di Legnago. «Nel vissuto della donna e del maltrattante, nell’80% dei casi si tratta di padri di famiglia o conviventi, ha come base del comportamento una formazione culturale che porta a pretendere di decidere esibendo con forza un’attività di controllo e sottomissione psicologica, salvo poi pentirsi e colpevolizzare le compagne. Questa sottomissione di carattere psicologico è interiorizzata dalle donne», fa notare. L’attuale periodo di incertezza e imprevedibilità non agevola le cose, crea anzi un affaticamento psicologico che influisce pesantemente sulla violenza.
«Oggi le vittime di violenza sono sospese: si convincono che nessuno le potrà aiutare, percepiscono il cambiamento come difficile e non lo mettono nemmeno in conto. Manifestano arrendevolezza con tratti di tipo depressivo», prosegue Consorte. Tra le proposte per il futuro, indica, «bisogna imporre come già accade in Spagna, Germania e Austria un percorso terapeutico per gli uomini che li porti a capire e ragionare sulle loro modalità di relazione sociale. I maltrattanti trovano giustificazioni al loro agire: “L’ho uccisa perché non volevo perderla”. Ci vuole la pena, ma anche la rieducazione, un segnale di tipo culturale». Le donne sono doppiamente prigioniere: dei maltrattanti e della pandemia che le relega in casa. Per questo è opportuno iniziare a riflettere sul trauma sociale che il Covid-19 sta provocando e su quali saranno le conseguenze nel tempo: «Le istituzioni non devono sottovalutare questo aspetto che – conclude – potrebbe avere conseguenze pesanti quando torneremo alla normalità».
Foto: Andrea Papa@unsplash.com
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