Più difficile l’ultimo saluto: i funerali al tempo del Covid
Modalità che creano sofferenza e agenzie funebri sotto pressione
Col Covid, pure da defunti si rischia di tribolare. Persino la morte, con tutte le sue ritualità che si concludono con la sepoltura, si è dovuta adeguare alle normative imposte dalla pandemia. A risentirne, ovviamente, è chi rimane, parenti e affetti che non riescono a portare l’ultimo saluto ai propri cari o a farlo come vorrebbero, rendendo complicata questa primissima fase dell’elaborazione del lutto.
In primavera fu l’impossibilità di svolgere i funerali a creare veri e propri traumi in chi aveva visto morire una persona cara; oggi, pur riuscendo a celebrare le esequie, restano numerose difficoltà legate ai numeri dei partecipanti, alla necessità di mantenere il distanziamento e al dilungarsi dei tempi tra la morte e la sepoltura.
Non è raro infatti che, a causa dell’eccessivo numero di decessi, anche le procedure pratiche e burocratiche conseguenti risultino rallentate. Hanno destato scalpore e paura le celle frigorifere collocate nelle scorse settimane fuori dagli ospedali veronesi per contenere le salme in eccesso.
Un’ondata di morte cui hanno dovuto far fronte anche le agenzie di pompe funebri, costrette agli straordinari soprattutto negli ultimi due mesi. E a ben vedere, tra i celebrati “eroi della pandemia” – medici e infermieri, a cui poi si sono aggiunti tutti i lavoratori sempre attivi: commessi, autisti, fattorini... – dovrebbero figurare anche loro, i becchini, che non si sono fermati proprio mai, anzi.
«Siamo da sempre una categoria un po’ bistrattata», ammette Luigi Rodighiero, socio dell’agenzia Cof Nord est, diffusa soprattutto nella parte orientale della provincia, che ci racconta le fatiche di chi opera in questo settore oggi. «Abbiamo passato un novembre e un dicembre a cui nessuno era preparato. Ci sono stati numeri che non avevamo mai visto in 20/30 anni di attività – ammette –. Qualche amico scherza con noi sul molto lavoro e sui presunti affari di questo periodo; ma la verità è che siamo i primi a voler tornare alla normalità. Sono stati mesi difficili professionalmente, sempre in emergenza, con ritmi pressanti, procedure sanitarie rigide da seguire e il dovere di mantenere un servizio impeccabile ai clienti, che in quel momento vivono la sofferenza».
«Stiamo vivendo quello che hanno vissuto in marzo a Bergamo – rincara Denis Lavagnoli, che ha recentemente sostituito Attilio Composta alla guida dell’agenzia di onoranze funebri Sempreboni e Composta di Negrar –, letteralmente ci sono stati momenti in cui non si sapeva dove mettere i defunti», assicura.
Molti dei decessi, com’è noto arrivano dalle case di riposo: «Qui nell’Est veronese sono state travolte dalla pandemia e noi con loro – sottolinea Rodighiero –. Abituati a fare in media 8 o 10 funerali al giorno, siamo arrivati nelle scorse settimane a 14, 15, 16... giorno dopo giorno, settimana dopo settimana», prima che la morsa un pochino si allentasse. È stato necessario uno sforzo extra da parte di tutto il personale, con gli operatori a reggere anche la pressione di possibili contagi. Infatti, con i defunti risultati positivi, i becchini si trovano esposti quasi quanto i sanitari e sono quindi costretti ad adottare le stesse precauzioni (camici, mascherine, guanti...).
Ma chi risente maggiormente di queste anomalie sono ovviamente i familiari dei defunti: la situazione è drammatica, perché con l’isolamento in terapia intensiva o nelle Rsa, in molti non vedono i propri cari da qualche settimana, non hanno modo di salutarli, di accompagnarli e di star loro vicini negli ultimi istanti di vita. Ma non c’è modo di vedere nemmeno la salma dopo il decesso, «siamo obbligati a sigillare le bare appena arriva l’autorizzazione. Tanti non sono pronti, non accettano... Qualcuno inveisce e minaccia di presentarsi in obitorio, qualcun’altro chiede se possiamo fare una foto alla salma, ma anche questo non è possibile».
Da ultimo, pure il funerale rischia di essere ulteriormente straziante, con casi – fortunatamente isolati – di attese di diversi giorni per riuscire a celebrare le esequie. «A noi è capitato di dover posticipare funerali solo di uno o due giorni, nei momenti più critici; in alcuni casi invece sono i parenti stessi a rimandare perché positivi e quindi impossibilitati ad uscire di casa. E vedere le bare accumularsi in ospedale, dieci, venti... vi assicuro che fa impressione, anche a chi fa questo mestiere da anni», spiega Rodighiero. «Sempre più persone scelgono poi la cremazione – aggiunge Lavagnoli – e i crematori non riescono a tenere il ritmo: a Verona si sono raggiunte attese anche superiori ai 15 giorni».
Situazioni paradossali di “morti in sospeso”, a cui si sovrappongono i piccoli disagi delle liturgie di questo periodo. Alcune parrocchie offrono la possibilità della trasmissione del funerale in streaming; ma, si sa, si tratta solo di un palliativo, perché un rito necessita della presenza fisica.
«Diversi clienti – conclude Rodighiero – in queste settimane mi confermano che nel vivere un distacco così brusco si ritrovano come mancanti di qualche passaggio fondamentale per andare avanti con la vita, per elaborare il lutto. E in questi casi, l’unico conforto che possiamo offrire è la fede».
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