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Pasta italiana, grano italiano

Il protocollo per tutelare l’intera filiera cerealicola nazionale prevede da parte del ministero delle politiche agricole l’erogazione di 40 milioni di euro destinati fino al 2022 al sostegno dei contratti di filiera

Parole chiave: Pasta (2), Grano (1), Prodotti italiani (1), Economia (128), Agricoltura (17)
Piatto con pasa cruda e un cartellino "made in Italy"

Pasta italiana, grano duro italiano. L’equivalenza può apparire scontata ma non lo è affatto. Anzi, per decenni, quasi tutta la produzione pastaria nazionale è stata ottenuta con materia prima in arrivo dall’estero, soprattutto dal Canada (ma non solo). Questione di possibilità di approvvigionamento e di qualità della materia prima, oltre che naturalmente di costi. Detto in altri termini, uno dei simboli dell’italianità era (ed in parte è ancora) di “origine straniera”. Poi le cose sono cambiate. Merito, occorre dirlo, della rinnovata attenzione all’origine e alla qualità delle materie prime, della riscoperta delle bontà nostrane oltre che di una domanda di mercato che gradualmente si è orientata in modo diverso. Per rispondere a tutto questo, quindi, gradualmente le imprese della filiera agroalimentare hanno cercato intese per tornare alla pasta italiana fatta con grano italiano. E’ il caso, di qualche giorno fa, della Barilla che addirittura ha sottoscritto un accordo di tre anni con il coinvolgimento del governo oltre che delle imprese agricole. L’accordo è importante, soprattutto perché indica una strada da percorrere. 
Di fatto, nel 2020, saranno 120mila le tonnellate in più di grano italiano che finiranno nella pasta Barilla. Merito, appunto, del protocollo che per tutelare l’intera filiera cerealicola nazionale prevede da parte del ministero delle politiche agricole l’erogazione di 40 milioni di euro destinati fino al 2022 al sostegno dei contratti di filiera. Accanto a questo, si lavorerà per la diffusione di “pratiche innovative dell’agricoltura di precisione, col sostegno alla ricerca, con un lavoro congiunto sulla sostenibilità del processo produttivo fin dai campi”. Tutti insieme quindi non solo per valorizzare il grano duro nazionale ma anche per sostenerne la produzione. L’industria accetta di sottoscrivere contratti con i cerealicoltori italiani, che a loro volta devono impegnarsi a produrre secondo canoni severi; il governo fornisce risorse finanziarie e di ricerca per sostenere la produzione di materia prima e, soprattutto, il miglioramento della sua qualità e quindi della competitività del tutto. Il protocollo, infatti, contiene un “Piano strategico per la filiera grano/pasta” con misure tecniche e finanziarie, ma anche iniziative di comunicazione istituzionale sul prodotto. 
In gioco c’è un “piccolo” tesoro. La filiera del grano duro per la pasta è strategica, è stato sottolineato alla firma dell’accordo, perché coinvolge oltre 200mila imprese agricole che significano occupazione e presidio del territorio. Per questo i coltivatori hanno appoggiato l’iniziativa che è stata giudicata come una importante “inversione d tendenza – ha spiegato Coldiretti -, dopo che nell’ultimo decennio è scomparso un campo di grano su cinque con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati ed effetti dirompenti sull’economia, sull’occupazione e sull’ambiente”. Mentre Alleanza delle cooperative agroalimentari, ha sottolineato non solo “piena condivisione e sostegno” ma soprattutto il fatto che quelli che si chiamano contratti di filiera (cioè accordo fra tutte le imprese agroalimentari dai campi alle tavole), costituiscono il completamento di quanto “intrapreso già da un paio di anni attraverso un protocollo siglato insieme alle varie sigle che fanno parte della filiera, dalla parte agricola ai mugnai all’industria molitoria”. 
Tutto bene, quindi.  A patto che adesso chi è coinvolto negli accordi faccia la sua parte fino in fondo. Le condizioni per fare bene ci sono tutte. Anche se i coltivatori non mancano di lanciare un avviso: tutto potrebbe essere vanificato “dalla concorrenza sleale delle importazioni dall’estero di prodotti che non rispettano le stesse regole di sicurezza alimentare e ambientale vigenti nel nostro Paese”. In altre parole, un accordo fatto non esonera dal fare attenzione ai contraccolpi dei grandi mercati internazionali.

Fonte: Sir
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