La fine della finanza cattolica?
Ora le banche sono praticamente tutte società per azioni, che rispondono appunto agli interessi di anonimi (o meno) azionisti, che hanno come obiettivo il dividendo a fine anno
Sembra ormai irreversibile la ritirata del mondo cattolico dalla finanza, dalla gestione del denaro. Nessuno se ne compiaccia: i soldi sono un ottimo fertilizzante per realizzare molte buone cose; se non li hai, si riesce a far poco; se li ha qualcun altro, farà altre cose e te li presterà alle sue condizioni.
Sono praticamente saltate a una a una le banche sorte dall’impegno cattolico a cavallo tra l’Otto e il Novecento. Fummo innovativi, fummo dinamici. Si scelse spesso la forma cooperativa per far capire le intenzioni: prima le persone. Realtà che crebbero e consentirono la crescita di intere economie, soprattutto al Nord, oltre che lo sviluppo di altre realtà sgorgate dal mondo cattolico: ospedali, ospizi, centri di accoglienza, scuole e quant’altro.
Con i decenni, le idee cominciarono a camminare sulle spalle di persone sempre più sbagliate. Di qui il patatrac, anche perché si commisero due errori: accettare e sopportare governance inadeguate e autoreferenziali; gettare il bambino con l’acqua sporca, una volta individuata quest’ultima.
Ora le banche sono praticamente tutte società per azioni, che rispondono appunto agli interessi di anonimi (o meno) azionisti, che hanno come obiettivo il dividendo a fine anno. Rimangono alcuni istituti di credito cooperativo – anch’essi passati attraverso la tempesta ma capaci di ristrutturarsi – e pochissime realtà che non mettono il denaro al primo posto nella loro azione. Ma il peso specifico complessivo è assai basso.
Anche il mondo assicurativo aveva campioni di matrice cattolica. Uno, Cattolica appunto, sta cedendo le armi alla finanza laica trasformando la propria struttura da cooperativa a spa, per poi finire inglobata e diluita in una realtà molto più grande. E diversa.
Segno dei tempi, si dice. Ma non è vero che le idee di allora siano sbagliate, o non più praticabili. Bisogna adeguarle ai tempi, ma a questo punto bisogna soprattutto riesumarle. Perché la ritirata sembra ormai quasi completa, come se ai cattolici fosse riservato solo il “fare del bene”, mentre i “grandi” si adoperano nelle cose da “grandi”. Errore strategico come lo è chiudere una testata giornalistica: si disperde un patrimonio, si perde una presenza, soprattutto sarà poi impossibile riprenderla. Mancheranno competenze e strutture, serviranno molti denari per raccattarle. Che non ci sono. Anche perché non ne abbiamo più disponibilità.
Urge cambio di rotta prima di incocciare l’iceberg del Titanic, ormai sempre più grosso e incombente.
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