I dazi, ponti levatoi che alla fine impoveriscono tutti
di NICOLA SALVAGNIN
Creano un aumento dei prezzi e distorsioni nei mercati. Attenzione: il vero pericolo arriva (indirettamente) dalla Cina

di NICOLA SALVAGNIN
E se fosse l’Europa ad applicare dazi sulle merci americane? Ma l’Europa lo fa già: si chiama Iva, imposta sul valore aggiunto. È un sovrapprezzo fiscale applicato a beni e servizi con aliquote differenziate, che in Italia possono arrivare al 22%. Solo che l’Iva colpisce tutti: italiani, europei, americani e pure i marziani se atterrassero a Roma.
Funziona così anche negli Stati Uniti. Si chiama Sales tax (imposta sulle vendite) e appunto si applica ad ogni prodotto venduto, maggiorandolo di una percentuale che varia da prodotto a prodotto, da Stato a Stato, da un minimo dell’1% ad un massimo dell’11. Ecco, i dazi americani appesantirebbero di molto il costo finale delle merci importate dai Paesi ai quali sono applicati. E appunto anche noi europei applichiamo dazi su alcuni prodotti provenienti da Paesi extra-Ue. O li invochiamo.
Il dazio funzionerà così: la bottiglia di Amarone aumenterà sullo scaffale del 25% (un po’ di più, perché la Sales tax si applica sul prezzo finale); il consumatore americano proseguirà imperterrito ad acquistarlo, pagandolo di più; oppure ne comprerà meno prediligendo concorrenti meno cari, e a quel punto il vino veronese rimarrà nelle cantine natìe. Se il dazio colpisce tutti i nostri prodotti, ne conseguiranno minori vendite, minori fatturati, minori posti di lavoro, un impoverimento per il Paese che fa la sua fortuna con le esportazioni: l’Italia appunto, che nel 2024 ha esportato beni per 305 miliardi di euro.
È vero che si potranno cercare altri mercati, ma precludersi il secondo più ricco del mondo (il primo è l’Unione Europea) è doloroso assai. L’unico modo per aggirare i dazi è andare a produrre direttamente negli Usa (possibile per un’auto, impossibile per il Parmigiano), che è poi l’obiettivo ultimo di Donald Trump.
Quindi il neo-presidente Usa ha fatto la mossa vincente? Forse sì, forse no. I prezzi saliranno, fomentando l’inflazione americana. La mancanza o il rincaro di certe forniture manderà in crisi diversi settori economici a stelle e strisce. L’Europa si vendicherà: e se toccherà nel vivo certi grandi conglomerati industriali e finanziari americani, questi non faranno salti di gioia.
Finora Trump ha usato l’arma dei dazi per ottenere vantaggi. Sarà così con l’Europa. Molti prevedono barriere doganali molto meno pesanti, se l’Europa darà qualcosa in cambio. Ad esempio acquistando dosi massicce di gas liquefatto americano e mettendo da parte la “transizione ecologica”. Oppure comprando oltreoceano quelle armi di cui deve dotarsi, poiché si sta chiudendo l’ombrello di sicurezza americano.
Tra le bancarelle del suq in cui si sta trasformando il mondo, la furbizia sta vincendo sull’eticità.
Piuttosto c’è un enorme pericolo che ci sovrasta in questo momento in cui gli americani si comportano come i grandi castelli medievali che, per far attraversare le porte ai mercanti esterni, facevano pagare appunto dazio. Il mercante più grande che fatica ad entrare per vendere la propria merce – e per grande s’intende quello che ne produce di più – è la Cina: la fabbrica del mondo, che continuerà a produrre come prima. E dove si rivolgerà a vendere la propria merce, a costo di svenderla anche senza profitto?
Esatto: qui in Europa. Un prodotto su tutti: le auto elettriche cinesi del 2025 sono migliori rispetto alle nostre in tutti i sensi, con dotazioni complete, batterie dalla durata doppia, un prezzo che oggi è la metà delle nostre. Domani potrebbe essere ancora più basso, in grado cioè di spazzare via in un amen tutta l’industria automobilistica europea, l’unica industria “pesante” ancora sulla breccia nel Vecchio continente.
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