Consumi e consumismo
Le ricchezze prodotte da una società consentono di disporre di maggiori mezzi da destinare ai diritti dei suoi componenti, al welfare e alla salute, all’istruzione
L’occasione virale ci consente di fare un ragionamento serio sulla differenza che passa tra consumi e consumismo. I primi sono benedetti, quante volte abbiamo sentito dire: “Se non ripartono i consumi…”. Perché sono il motore della produzione e dello scambio di merci, la benzina che ha consentito l’umanità (o larga parte di essa) di passare da una sussistenza grama all’attuale benessere. Le ricchezze prodotte da una società consentono di disporre di maggiori mezzi da destinare ai diritti dei suoi componenti, al welfare e alla salute, all’istruzione e alla manutenzione del territorio. Vivere di sussistenza ci riporta dritti alla preistoria, quando una semplice carie dentale mandava in tilt un essere umano.
Il consumismo è la degenerazione, e come tutte le degenerazioni non ha certo una valenza positiva. Vivere per consumare, per la quantità e l’accumulo, per lo spreco che è sempre immotivato, è anzitutto triste. Qui entriamo nel campo dell’etica, della filosofia, della psicologia e, qualche volta, della psichiatria. E quindi abbandoniamo rapidamente il campo per occuparci di qualche distorsione linguistica e mentale che stiamo ascoltando in questi giorni pandemici, anche da personalità di spicco come ministri, intellettuali e opinionisti. Che bello, il cielo cinese è finalmente pulito! Che bello, non c’è traffico attorno a Milano! Che bello, i treni sono semi-vuoti e non c’è calca nella metropolitana! Che bello, Venezia e Roma si sono sgombrate di turisti! Lo pensiamo tutti, pensiero fugace che viene e rapidamente se ne va guardando bar e ristoranti vuoti, autisti solitari, negozi deserti, consegne mattutine ridotte, insomma milioni di facce preoccupate. Perché se i soldi non girano, non finiscono nemmeno nelle nostre tasche, nelle nostre famiglie. Se il motore va a meno giri, inevitabilmente lascerà per strada i più deboli, i più in difficoltà. Questa volta possono essere veramente tanti; e noi italiani, usciti da un decennio di crisi, non abbiamo alcuna voglia di ripiombarci. Il problema insomma sono gli ideologi della “decrescita felice”, degli stili di vita “sobri” dove la sobrietà è banalmente quantitativa, riduce i consumi e quindi il lavoro e i redditi. Fino ai mentecatti che sognano “meno umanità”, unico antidoto per la salvezza della natura minacciata dall’uomo. Che se si estinguesse, sai che selve rigogliose e che fiorire di specie animali! Ma nemmeno i nazisti perseguivano un programma così ambizioso.
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